Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Al Poetto in tram e tra i casotti

Fonte: L'Unione Sarda
30 giugno 2010

Il medico e politico Pierpaolo Vargiu rievoca in un divertente libro ("Quelli di piazza del Carmine", edito da Delfino) appena uscito, gli anni della gioventù a Cagliari, con le lunghe estati al mare, i rituali familiari, le usanze popolari, le credenze salutistiche Oggi quei ragazzi di allora hanno cinquant'anni e oltre e il loro Poetto è profondamente cambiato. Ecco alcuni brani del libro che dipinge un'epoca senza nostalgia ma con affetto Al Poetto in tram e tra i casotti


Finita la scuola e iniziata l'estate cagliaritana, i ritmi tendevano a prescindere dalla Congregazione Mariana e da tutto il resto. Il centro di attrazione della vita di tutti i bambini diventava la spiaggia del Poetto, in epoca precedente allo sfoltimento dei casotti e al ripascimento grigiolino. Oggi, i genitori che lavorano e hanno figli piccoli aspettano con terrore la fine delle scuole. Io sono tra questi. Nella mia preistoria nessun genitore avrebbe mai sprecato dieci minuti di vita per ragionare sulle attività di fine anno scolastico. Intanto le scuole terminavano più tardi, ad occhio e croce intorno alla fine di giugno perchè non c'era ancora la prassi tollerata di interrompere la frequenza "dopo gli scrutini".
IL POETTO E poi, negli anni sessanta, tra un anno scolastico e l'altro c'era il Poetto. Una cosa assolutamente automatica. Al punto che non saprei dire se il Poetto fosse interposto tra due anni scolastici oppure se fosse l'anno scolastico ad essere interposto tra due stagioni al Poetto.
Il Poetto era inevitabile, immenso, molto atteso. Era aperto a tutte le ore e aveva molte meno regole di tutto il resto. Ogni mattina ingoiava una quantità di bambini straordinaria, che puntualmente restituiva intatti alle famiglie alla fine della giornata. In barba agli zingari, ai pedofili e a qualsiasi altra categoria di delinquenti. Al punto da farmi dubitare che esistessero. Gli amici del mare spesso non avevano niente a che fare con i compagni di classe, con cui si socializzava il resto dell'anno.
Ogni famiglia cagliaritana gravitava sul suo pezzo di Poetto e, all'inizio dell'estate, scattava un'attrazione fatale che vinceva qualsiasi altro rapporto invernale.
Il Poetto d'antan non era diviso per stabilimenti, ma secondo le fermate del tram. Unico mezzo abilitato al trasporto delle famiglie. Nessuno andava al mare in macchina tranne la domenica. Le auto erano poche e servivano per lavorare: lasciarle per l'intera mattinata nei parcheggi davanti ai casotti sarebbe stato uno spreco troppo grande!

LA STAGIONE Durante la stagione estiva, io vivevo alla quarta fermata. Secondo altre scuole di pensiero era invece "la prima" dopo il Lido. Alla quarta fermata c'era il casotto di miei cugini Angius. Era in seconda fila, di colore verde o azzurro, dipendeva dagli anni. E forse del colore della vernice che quell'anno costava meno. Il nostro era un casotto assolutamente regolamentare.
Niente di straordinario. Aveva un ambiente grande, assai raramente utilizzato per il pranzo. C'era poi una seconda stanza che fungeva da spogliatoio. Regolarmente provvista di buco-spioncino segreto, che veniva tappato e rifatto diverse volte durante la stagione. Serviva ai cugini più grandicelli per "sminciare" di nascosto le ragazzine che si spogliavano. Almeno per me, la stagione iniziava tardi. Il 29 giugno, data comunque memorabile perché era anche quella del mio onomastico. A quei tempi era festa religiosa e civile e i negozi restavano chiusi. Compreso quello di mio padre. Attendevo con ansia l'arrivo della fatidica dead line di giugno. Ero carico di invidia per tutti i miei amichetti e cuginetti, che spesso avevano iniziato ad andare al mare diversi giorni prima. Qualcuno addirittura con le scuole ancora aperte, utilizzando la domenica. Mio padre e mia madre erano invece totalmente sordi ad ogni richiesta di anticipazione. Erano irremovibilmente convinti che la temperatura ideale per la nostra sopravvivenza nudi in spiaggia venisse raggiunta soltanto il giorno di San Pietro e Paolo. Non c'era insistenza o preghiera che potesse fargli cambiare idea. Comprendo che non agissero per proprio vezzo. La loro rigidità era sicuramente figlia di certezze sanitarie consolidate della comunità scientifica internazionale, frutto di esperimenti su migliaia di bambini della mia età.
LA 600 A casa mia, sempre seguendo il filone della ritualità, l'inizio della stagione del Poetto obbediva a precise consuetudini. Il 29 giugno era festivo e mio padre utilizzava la macchina. La sempreverde Seicento veniva caricata sino all'inverosimile. Ci stavano comodamente moglie, tre figli e domestica che, nelle feste comandate, veniva promossa baby-sitter. Il mansionario delle domestiche era elastico e consentiva un utilizzo double-face. Terminato il carico umano, nella Seicento c'era ancora spazio. Veniva allora aggiunta una dose massiccia di indispensabile oggettistica da mare... Si smetteva di caricare solo al raggiungimento della capienza massima. A quel punto, si controllava l'acqua del radiatore e si partiva per il viaggio al Poetto. Mio padre non era Schumacher e, in assenza di contrattempi, ci voleva mezz'ora. Parcheggiavamo l'auto proprio di fronte ai casotti, appena al di là della linea dei binari del tram.
Scesi a terra, tutti gli uomini validi venivano caricati con qualche masserizia. Anche noi bambini facevamo la nostra parte. La carovana si snodava lenta attraverso le file dei casotti, sino alla meta agognata. Giunti a destinazione e preso possesso del casotto, tutti si potevano finalmente spogliare, per andare a fare il bagno. Tutti, esclusi noi. Per noi la procedura era più complessa.
SCOTTATURE Anche l'inizio della stagione balneare, nella mia famiglia rispondeva alla solita regola dei tre giorni. In questa occasione, il precetto veniva utilizzato in funzione antiscottatura. Il primo giorno di mare, il fatidico ventinove giugno del mio onomastico, era autorizzata l'esposizione parziale, in canottiera, all'ombra dei casotti. Il giorno successivo iniziava l'esposizione corporea totale, ma sempre all'ombra. Soltanto in terza giornata c'era il permesso per un'ora di sole, rigorosamente cronometrata. Un piccolo tuffo in acqua, con mia madre già in agitazione sulla riva. Pronta con gli asciugamani per evitare i colpi di freddo. A Cagliari, in quella stagione mietevano più di una vittima.

IL TRAM P Al confronto del rigido sistema di regole scolastiche e invernali, il mare era libertà. Ma non si poteva ugualmente dire che la mia vita al Poetto fosse spensierata. Era troppo subordinata a orari di fruizione radicalmente diversi da quelli a me graditi. Mio padre e mia madre sono sempre stati convinti che le fasce migliori per il sole siano quelle comprese tra le otto del mattino e il mezzogiorno. Mi ribellavo alle loro solite fissazioni salutistiche. Anche se, almeno questa volta avevano ragione loro... Ci incamminavamo in viale Trieste, diretti in piazza Matteotti, capolinea del tram "P", che ci avrebbe portato al Poetto. Se eravamo particolarmente fortunati, intercettavamo in viale Trieste il pullman numero 5, che faceva la tratta piazza d'Armi- Stadio e aveva una fermata anche in piazza Matteotti. Se beccavamo il Cinque evitavamo il primo bagno della giornata. Quello di sudore per arrivare sino al tram...
Anche i tram che partivano semi vuoti si riempivano comunque durante il cammino. Tra viale Diaz e viale Poetto saliva un sacco di gente, in particolare alle fermate di coincidenza. A quella dello Stadio Amsicora, si scaricava sulla linea tranviaria tutto il carico del pullman Cinque che travasava il suo contenuto, proveniente da tutt'altra parte della città.
Arrivati al Poetto, la parte più signorile e raffinata dei passeggeri abbandonava il mezzo di trasporto alle fermate nobili del D'Aquila e del Lido. Poi giungeva il nostro turno. Scendevamo e ci fermavamo al baretto, davanti alla fontanella della quarta fermata. La mano tappava il rubinetto e si beveva l'acqua dallo zampillo, a garganella per limitare la sete nel corso del resto della giornata... Dovevano passare almeno due ore, dopo l'ultimo boccone mangiato, altrimenti niente bagno. Mia madre sapeva benissimo che ne aveva ammazzato più la congestione che il vaiolo.
I CASOTTI Durante la giornata il Poetto dei casotti iniziava a vivere come una città, che piano piano mi svelava sfumature nascoste e intriganti. Avevo infatti definitivamente appurato che alcuni casotti erano vere e proprie residenze estive. All'interno, i villeggianti consumavano il pranzo e schiacciavano il pisolino pomeridiano. Al tramonto iniziavano la preparazione della cena, poi giocavano a carte sino a tardi, crastulavano , fastigiavano, si raccontavano barzellette tra loro. Gli uomini e le donne, i grandi e i bambini della città estiva si godevano il fresco della sera e poi se ne andavano a dormire. Senza prendere la macchina, né il tram... La vita del Poetto era lo specchio della cagliaritanità.
PIERPAOLO VARGIU


30/06/2010