Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Alessandra Bedino, cronache amare dalla fabbrica chiusa

Fonte: L'Unione Sarda
19 marzo 2010


Teatro Cagliari, in scena a Sant'Eulalia

Un'attrice da sola, evocatrice di cinquemila storie femminili, quelle delle operaie della Lebole di Arezzo. Fatica artistica della narratrice Alessandra Bedino, approdata a Cagliari per la stagione di teatro d'autore organizzata dal Crogiuolo intorno al tema del lavoro. Accogliendo al Sant'Eulalia La fabbrica delle donne , la compagnia di via Portoscalas procede coerente con la linea di impegno civile improntata da Mario Faticoni.
Il lavoro innanzitutto. Il lavoro che rende l'uomo libero e la donna emancipata. Lo spettacolo prodotto da “Occupazioni farsesche” è costruito su una riscrittura eseguita dalla sua interprete, basata sulle interviste alle lavoratrici che Claudio Repek e Antonella Bacciarelli hanno raccolto in La confezione di un sogno . Leda, operaia e delegata sindacale, testimonia una memoria collettiva. Arraffando ricordi, a cavallo di un sogno che la riporta nello stabilimento aretino la notte successiva della chiusura, la sarta urla che “gli operai sono i primi prodotti che si fanno in fabbrica”. Soltanto cinque minuti al giorno per i bisogni fisiologici. Le leboline hanno patito alienazione, svenimenti e nevrosi e il rumore delle macchine alloggerà per sempre nelle loro orecchie. In cerca di miglioramento delle condizioni di lavoro, di diritti e dignità, diciassettenni che sapevano appena leggere e scrivere sono mutate in lavoratrici e, talvolta sindacaliste, armate di buona volontà e vocabolario. Le ragazze odierne non vogliono sentire o hanno troppa fretta, incastrate in un call center o in ritmi di una vita divenuta catena di montaggio? “Allora per le donne è ancora tutto da conquistare”, ammonisce Leda.
Recitazione e costruzione scenica equilibrata, in un percorso che va dal 1958 al 2002, fanno di questo allestimento un buon pezzo di teatro che sa miscelarsi con il video di Almasen Artisti Associati e le canzoni popolari di Giovanna Marini e di Rocky Roberts cantate dalle operaie. Commuovente la chiusura di sovrapposizione recitativa con immagine di fondo, tuffo indietro nel tempo sull'esile linea onirica. Per richiamare il tramonto sopra l'ennesimo inganno italiano è sufficiente un riflesso di sole sui vetri. E la forza delle parole che escono dalla fabbrica.
MANUELA VACCA

19/03/2010