Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Certificati verdi e incentivi dietro il grande affare

Fonte: L'Unione Sarda
17 marzo 2010

Inchiesta sul grande business Cosa nasconde l'assalto alle energie rinnovabili

di ANTHONY MURONI
Quello delle energie rinnovabili è uno dei settori che, anche in periodo di crisi, richiama l'attenzione dei grandi investitori nazionali e internazionali. L'Italia è anni-luce indietro, sia dal punto di vista infrastrutturale che degli incentivi destinati alle famiglie e ai Comuni. Eppure dal 1991 a oggi le facilitazioni ai grandi produttori di energia sono costate 20 miliardi di euro, 40 mila miliardi delle vecchie lire.
LA STORIA Il primo governo a introdurre un sistema di incentivi, destinato solo alle grandi aziende, è stato quello presieduto nel 1991 da Giulio Andreotti: col sistema del Chip6 si è sancito il principio del plusvalore dell'energia prodotta da fonti rinnovabili, che da 13 anni ha lasciato spazio all'attuale sistema dei certificati verdi. «Oggi si possono realizzare guadagni fortissimi proprio sfruttando questi incentivi - racconta Fernando Codonesu, patron di Sostenergy, una delle aziende che aveva pensato di realizzare un parco eolico nel Golfo di Cagliari - ma occorrono regole ed etica. L'imprenditore non può pensare di prendersi tutte le fette della torta ma deve rendere protagonisti sia i cittadini (con effettivi risparmi sul costo dei servizi) che gli enti locali». Praticamente il contrario di quello che succede oggi, visto che le facilitazioni sugli investimenti in energie rinnovabili vengono sostanzialmente pagate dagli abbonati alle società elettriche, che si ritrovano una apposita voce in bolletta.
INQUINAMENTO Nel frattempo le grandi aziende continuano a inquinare: per ogni kilowatt/ora di energia consumata in case, uffici e attività produttive, nell'aria vengono immessi 850 grammi di CO2. «È per questo che la partita delle energie rinnovabili deve essere giocata con attenzione dalla Regione - aggiunge Codonesu - credo che l'annunciata istituzione di un'agenzia che si occupi di coordinare la politica di investimenti sulle rinnovabili vada salutata con favore. Ma il governatore Cappellacci e il Consiglio devono vigilare sul fatto che questo nuovo ente non diventi un carrozzone ma un vero motore di sviluppo».
L'OFF-SHORE Un discorso a parte, in quello più generale sulle fonti alternative di approvvigionamento, lo meritano i parchi eolici a mare. Anzitutto va chiarito che, a oggi, in Italia e in tutto il Mediterraneo non ne esiste nemmeno uno funzionante. In fase di autorizzazione ce ne sono sei (tutti nel sud Italia, nemmeno uno in Francia o Spagna), di cui uno sperimentale in acque profonde.
LA NOVITÀ Si tratta di un sistema alternativo a quello dell'eolico off-shore: oggi le pale poggiano su fondamenta scavate nei fondali: «Nel parco eolico a mare del futuro ci dovrebbero essere solo strutture galleggianti, per le quali a oggi non esiste però una tecnologia collaudata», aggiunge Codonesu. Queste, se fossero veramente utilizzabili, sarebbero certamente di minor impatto dal punto di vista visivo, anche se non potrebbero comunque essere collocate oltre i dodici chilometri al largo delle coste, dove iniziano le acque internazionali.
IL POTENZIALE Nel Bel Paese, secondo quanto dicono le ricerche dei più grandi istituti specializzati nel settore, sta per partire un vero assalto: oltre 11 mila chilometri quadrati dei mari italiani possono essere utilizzabili per l'eolico marino. Un documento presentato dall'ex ministro Pecoraro Scanio nel 2008 al Parlamento europeo dice che quel settore «ha un forte potenziale nei mari italiani, addirittura paragonabile a quello terrestre, potendo raggiungere entro il 2013 i 500 megawatt di energia prodotti».
IL TERRITORIO La regione nella quale c'è la maggior estensione utilizzabile è la Puglia, con quasi 3 mila chilometri quadrati utilizzabili, seguita da Marche (con 2700), Sicilia (1772) e Sardegna, al quarto posto con 1270 chilometri quadrati. A rendere più appetibile la nostra Isola, facendole scalare la classifica, è la velocità del vento, spesso superiore ai sette metri al secondo.
IL BUSINESS Interessate all'affare ci sono due tipi di aziende: quelle che vogliono produrre e rivendere energia a prezzi maggiorati (in virtù degli incentivi assicurati dal governo) e quelle che, facendo incetta di certificati verdi, cercano di perpetuare e cristallizzare le loro attuali centrali, dal forte impatto sull'ambiente. Perché producendo energia “pulita” si conquista una sorta di bonus, che abbatte il monte-emissioni nell'aria. Entro il 2020, in virtù degli accordi internazionali firmati dall'Italia, tutti dovranno adattarsi ai nuovi standard: meno 20 per cento di inquinamento e più 20 per cento di utilizzo di fonti rinnovabili.

17/03/2010