Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Testimone di un mondo che non c'è più

Fonte: L'Unione Sarda
11 marzo 2010

il ritratto

La gloria gli aveva solo rudemente accarezzato le spalle quando, da allenatore del Cagliari, aveva mancato d'un soffio, perdendo lo spareggio con la Pro Patria a Roma, era il 1954, quella promozione in A che la Sardegna avrebbe festeggiato una decina d'anni dopo con Sandokan Silvestri e, soprattutto, con Gigi Riva. Non ha vinto neppure Olimpiadi, Mondiali o Europei. Non è stato azzurro di fama internazionale. Non ha ricevuto premi che non siano stati i graditissimi sorrisi di amici o sconosciuti che in tanti anni gli hanno rivolto un semplice “grazie”. Eppure se c'è una persona che ha attraversato da vincente lo sport sardo, non c'è dubbio, questa è Cenzo Soro. Unico, non può essere paragonato a nessun'altra figura, forse non solo in Sardegna: punto di riferimento morale per intere generazioni, alle quali non ha insegnato lo sport ma che cosa è. I suoi codici non scritti, il rispetto per lo sconfitto, il piacere per il gesto tecnico e atletico, la lealtà, il valore spesso effimero di un successo, la modestia, rara virtù che deve appartenere ai vincenti. Era motivo d'orgoglio potergli dare del tu, era sorprendente - fino a pochi mesi fa - ricevere di tanto in tanto un suo messaggio, per posta nell'era di Internet, nel quale con lucida sintesi e una superba grafia da fine Ottocento analizzava un problema: il doping, il professionismo ormai esasperato, la mancanza di valori sportivi, ma anche una semplice sconfitta del suo Cagliari, andando oltre i luoghi comuni del mondo del pallone. La sua grande passione. Ma non solo: è stato anche presidente della Federbasket regionale, nell'epoca del Brill, quando la pallacanestro sarda era diventata grande, forse anche troppo, senza rinunciare grazie a lui a quelle radici che oggi ha invece perduto. È stato anche coach di atletica leggera e di hockey su prato in anni non ruggenti ma irripetibili perché genuini. Gigi Riva - che oggi lo piange come un padre - lo aveva voluto al suo fianco quando, trent'anni fa, aveva fondato la Scuola Calcio: la presenza di Cenzosoro, tutto attaccato proprio come Gigiriva, garantiva un'immagine di bellezza estetica e purezza morale perché, ormai quasi anacronisticamente, l'obiettivo di quella scuola è stato ed è ancora quello di essere Scuola. Magari, senza troppa retorica, anche di vita. Il privilegio di parlare con lui era molto più che accendere un motore di ricerca su Internet: memoria storica, anzi di più. Cenzo Soro è stato testimone praticamente di tutto, un occhio acceso sui pregi e sulle debolezze del nostro mondo, non solo sportivo. La malasorte gli ha impedito (era un ottimo portiere) di passare alla Juventus. Ma oggi a distanza di tanti anni consideriamo quel fatale infortunio alla spalla quasi un segno del destino: lo sport sardo non voleva che andasse via, voleva che rimanesse qui. Dove rimarrà per sempre. Cenzo, come tutti i patriarchi, è uno di quei pochi uomini che avranno in dono dal destino il privilegio più grande: quello di non morire. Ma di sopravvivere a se stesso.
NANDO MURA

11/03/2010