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Sardegna Nel 2014 le emissioni di CO2 diminuiscono del 3,7%

16 dicembre 2015, 13:04
La Sardegna, con un peso percentuale del 7,9% sul totale delle emissioni del Paese, nel 2014 registra emissioni per 11.948 migliaia di tonnellate di CO2.

Nel 2014 la Sardegna registra una diminuzione complessiva delle emissioni regionali di CO2 del 3,7%  rispetto all’anno precedente.

La Sardegna, con un peso percentuale del 7,9% sul totale delle emissioni del Paese, nel 2014 registra emissioni per 11.948 migliaia di tonnellate di CO2.

«L’Europa si è formalmente impegnata a ridurre le emissioni di gas effetto serra almeno del 40% entro il 2030 ed ha confermato il target di riduzione dell’ 80% entro il 2050. Tali obiettivi dovranno essere perseguiti nel modo economicamente più vantaggioso per l’intera collettività. L’auspicio è che dai meeting internazionali sul clima, in corso proprio in questi giorni a Parigi, emerga una strategia comune concreta che consenta ai singoli stati, così come alla comunità internazionale, di trovare la strada per uno sviluppo mondiale “low carbon”» ha dichiarato Guido Busato, Presidente di EcoWay.

I settori industriali coinvolti

In sardegna, nel 2014, il settore industriale della Raffinazione registra il 49% - 5.759.779 ton CO2, seguito dalle Utility (42% - 4.992.167 ton CO2), Chimica (4.3% - 516.412 ton CO2), Calce e Cemento (4% - 393.536 ton CO2), Metallurgico (0.1% - 249.039 ton CO2), Ceramica e laterizi (0.3% - 28.304 ton CO2), Carta (0.1% - 4.919 ton CO2) e Alimentare (0.2% - 4.063 ton CO2).

Sardegna: distribuzione % Emissioni CO2 per settori industriali


Il panorama nazionale

Nel 2014 le aziende italiane che partecipano al mercato europeo di scambio delle emissioni di CO2 (Emission Trading Scheme), hanno registrato una diminuzione delle emissioni di gas ad effetto serra pari al 7,4% rispetto al 2013. Il livello di emissioni si riduce dunque di 12 milioni di CO2 ton, passando da 164 a 152 milioni di CO2 e ton.
Il trend di diminuzione prosegue ormai da diversi anni: dal 2005, a parità di numero di aziende sottoposte ad ETS, il calo cumulato è pari a circa - 32,7% per gran parte attribuibile al calo dei livelli di produzione industriale unitamente al crescente contributo delle energie rinnovabili al mix energetico nazionale.

A fronte di una riduzione di emissioni di gas a effetto serra, per la prima volta dal 2008, in Italia il rapporto tra emissioni e permessi ad emettere si è invertito. Le emissioni generate nel 2014 sono state superiori del 4% alla somma di permessi assegnati gratuitamente e tramite asta nell’anno.
Questa importante inversione di tendenza è dovuta certamente ad interventi tecnici da parte delle istituzioni europee di adeguamento dei meccanismi (es. c.d. “backloading” e “coefficiente riduzione lineare”) così come a primi effetti di ripresa produttiva.

L’Italia resta il 4° maggior paese emettitore europeo, preceduto da Germania, UK e Polonia ma riduce le emissioni in misura maggiore rispetto all’UE (-7,5% versus 4,9%).


I settori industriali - variazione delle emissioni e distribuzione
Il settore della Chimica registra la maggiore riduzione di emissioni rispetto al 2013, pari a -10%. Subito dopo il settore delle Utility segna -9%: la bassa domanda di energia ed il contributo delle rinnovabili hanno generato negli ultimi anni un progressivo ridimensionamento dell’attività di quasi tutti gli impianti e in alcuni casi hanno portato al fermo totale.
Il calo di emissioni nei settori Calce e Cemento e Laterizi, rispettivamente -6% e -5% conferma la perdurante contrazione dell’attività nell’industria delle costruzioni.
L’unico settore che segna un incremento del livello di emissioni è quello Alimentare, con un incremento del 9% anche nonostante dell’uscita di 4 impianti dallo schema.

Nel 2014, i primi 20 gruppi societari per emissioni verificate nel 2014, che controllano 225 impianti, sono responsabili per oltre il 75% delle emissioni coperte da ETS e sono distribuiti tra i settori Utility, Raffinazione, Metallurgico, Cemento e Chimica.
Gli impianti di produzione di energia appartenenti alla categoria “Utility” e che fanno capo a circa 80 gruppi societari, sono stati responsabili per oltre il 54% delle emissioni di GHG totali. Gli impianti di raffinazione (38), contribuiscono invece per il 15% delle emissioni complessive. 
Il settore della Calce e del Cemento si colloca al terzo posto con il 10% delle emissioni contabilizzate in ETS, a seguire il settore della Metallurgia con l’8%, il settore della chimica con il 4%, il settore della carta con il 3%, i settori della Ceramica e Laterizi e del Vetro, ciascuno con il 2% ed il settore Alimentare con l’1%.

 


Geografia italiana delle emissioni
Le prime 10 regioni per livello di emissioni sono responsabili per oltre l’89% delle emissioni nazionali. La Puglia continua a essere la regione d’Italia con il numero più elevato di emissioni di CO2 21,2% del totale nazionale, con un aumento del 3,4% rispetto al 2013. Lombardia e Sicilia si confermano rispettivamente al secondo (13,7%) e terzo posto (12,0%).
Puglia e Lombardia presentano una differenza strutturale importante: mentre la Puglia si caratterizza per la presenza di pochi impianti e di grandi dimensioni (sono in totale 40 gli impianti pugliesi in ETS), la Lombardia presenta il più elevato numero di impianti sottoposti ad ETS del Paese, 216, la maggior parte dei quali di piccole e medie dimensioni.
Puglia e Lazio sono le uniche Regioni che tra 2013 e 2014 segnano un aumento di emissioni di CO2 rispettivamente +3.4% e +4.8%, nonostante l’interruzione di attività di 5 impianti. Mentre tutte le altre Regioni italiane vedono una contrazione tra il 3.7% ed il 34.2%.


Scenario internazionale
Tra il 2014 ed il 2015 a livello internazionale continuano a diffondersi strumenti di emission trading per la gestione delle politiche di controllo ai cambiamenti climatici.
Ad oggi sono 40 Stati e più di 20 tra città e regioni su scala globale che hanno applicato un prezzo alle emissioni di GHG (greenhouse gas) o che lo stanno per applicare.

Il modello europeo è diventato ormai un riferimento anche per molti Paesi extraeuropei tra cui ad esempio: Canada e Usa (manca ancora uno schema nazionale di pricing della CO2, ma in entrambi si sono consolidati schemi ETS regionali), Cile (dal 2017 etra in vigore una carbon tax da applicare a tutti gli impianti con una capacità termica superiore a 50MW), Kazakhistan (dal 2014 è pienamente operativo il sistema ETS nazionale), Nuova Zelanda (ha uno schema ETS che sarà rivisto e migliorato entro la fine del 2015), Korea del Sud (il 1 gennaio 2015 è entrato in vigore lo schema ETS che copre 25 settori).

Si segnala infine che anche se L’ETS europeo rimane ancora il più grande schema internazionale della CO2, coprendo in totale quasi 2GtCO2e a breve il primato passerà alla Cina. In particolare la Cina, che nel 2013 ha iniziato il percorso verso lo schema ETS nazionale inaugurando 5 schemi ETS pilota, nel 2014 ha aggiunto altri due schemi pilota anche alla luce dell’implementazione di uno schema ETS che dovrebbe essere lanciato a fine 2016 ed essere pienamente operativo dal 2019.

Emission Trading Scheme (EU-ETS): cos’è, come funziona, gli obiettivi

Nato all’inizio del 2005 in linea con il protocollo di Kyoto, l’EU-ETS è il primo mercato internazionale per lo scambio di quote di emissioni sviluppato dall’Unione europea con l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas a effetto serra prodotte dalle imprese al minor costo per imprese e collettività.
Il mercato ETS nel 2014 conta oltre 11.000  impianti industriali, di cui 1.095 in Italia, che producono circa il 40% delle emissioni totali di gas effetto serra generate in Europa. Dal 2012 fanno parte del sistema ETS oltre 300 compagnie aeree.
L’EU-ETS è uno strumento economico di politica ambientale, di tipo “cap and trade” applicato alle emissioni di gas serra, che fissa un tetto alle emissioni per le imprese ed è costituito da un mercato dei permessi di emissione. Il cap o tetto massimo di emissioni è espresso in numero di permessi ad emettere (EUA) che vengono distribuiti ad asta o in assegnazione gratuita ai gestori d’impianto. Il cap (o numero di permessi) cala di anno in anno per garantire che a livello aggregato si raggiungano gli obiettivi di riduzione prefissati. Le aziende sono libere di scegliere se efficientare i propri processi produttivi riducendo le emissioni generate e vendere i permessi in eccesso (opzione make), o se superare i limiti di emissione ed acquistare da altri operatori un numero di permessi pari alle emissioni prodotte in eccedenza (opzione buy). Più aziende scelgono di mantenere invariato l’assetto produttivo, più alto sarà il prezzo dei certificati e più alto sarà lo stimolo economico affinchè le aziende trovino la convenienza nel ridurre le emissioni.
Rispetto ad una carbon tax, un sistema di Emission Trading permette di raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni in modo più veloce, certo e con un costo inferiore per la collettività.
La Direttiva comunitaria ha suddiviso l’EU-ETS in tre fasi: dopo un primo periodo pilota triennale di apprendimento (2005-2007), si è aperta una seconda fase (2008-2012), in cui l’Europa ha predisposto limiti più rigorosi per le quote di emissione. Nel 2013 è iniziata la terza fase che si protrarrà fino al 2020 e che presenta numerose novità in termini di applicazione, modalità di assegnazione e gestione delle quote e monitoraggio delle emissioni.

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