Reportage

Una rivoluzione green: armati di zappa per cambiare il mondo

Autore: Laura Carossino,
10 maggio 2012, 10:15
Gli orti urbani: l'iniziativa sarda e le possibilità di condurre una vita ecosostenibile comodamente da casa.

Il primo orto urbano in Sardegna: intervista a Donatella Pau presidente dell'Associazione Terraterra

Mentre a Cagliari si discute degli orti urbani, a Settimo San Pietro è nato l'11 Giugno del 2011, il primo orto urbano della Sardegna. Si chiama l’Orto di Emilio ed è stato realizzato dalla Onlus Terraterra con la collaborazione del Comune, che ha concesso in uso all’associazione circa 1100 mq di proprietà comunale.

E’ composto da un’area comune e da piccoli lotti di 25 mq ciascuno da affidare a singoli orticoltori, e rappresenta il progetto pilota della neonata associazione, uno strumento per attività di informazione e animazione dirette a favorire la realizzazione di altri orti sociali nel territorio di Settimo San Pietro.

L’autoproduzione collettiva alimentare è una forma di cittadinanza attiva in chiave anti-crisi e rappresenta per per gli organizzatori la possibilità di costruire percorsi di inclusione sociale e di educazione ambientale, nella condivisione di stili di vita sobri e responsabili.
E così l’Orto di Emilio diverrà un luogo di incontro, di promozione delle colture tradizionali e del consumo critico, aperto alle visite di tutti i cittadini, con serate divulgative sugli stili di vita, sulle caratteristiche degli alimenti locali e sui principi della coltivazione biologica.

Cibo preparato con le verdure dell'orto urbanoQuando nasce l'associazione Terraterra e con quali obiettivi?
L'Associazione Terraterra è nata nell'Ottobre del 2010 e quasi subito dopo la sua nascita la creazione dell'orto urbano a Settimo San Pietro si è posto come obbiettivo principale, in quanto non siamo solo un'associazione di tipo culturale ma come diciamo noi anche "colturale".
Anche il nome Terraterra non è casuale: vuol dire che ci occupiamo di fare semplici cose- esagerare in manifestazioni di grande portata non ci interessava- noi volevamo creare un luogo, un tempo, dove la gente avesse la possibilità di vivere bene con le poche cose che si posseggono, imparando soprattutto a godere di esse.

Cosa rappresenta per voi l'orto urbano?
L'orto per noi è una "piazza", un luogo di aggregazione appunto e non ha nelle sue finalità scopi "terapeutici": non vogliamo che i partecipanti siano solo i bambini delle scuole o coloro che soffrono di disagi mentali o fisici,
L'orto deve essere uno spazio aperto a tutti, non un ghetto.
L'aspetto che a noi interessava maggiormente era creare un "orto liberatorio": noi dell'associazione siamo per così dire "persone normali", persone che hanno voglia di lavorare la terra e che vogliono  stare insieme agli altri, lasciandosi a casa i problemi quotidiani.

Gli abitanti di Settimo come hanno risposto alla vostra iniziativa?
E' stato accolto molto bene, ma da subito abbiamo preso coscienza di alcune problematiche che avremmo affrontato. Settimo infatti è un paese rurale e sappiamo che diversi abitanti hanno già un proprio orto e che i loro figli non mostrano interesse verso cose diciamo che vedono ogni giorno, non guardano all'orto con interesse, ma danno per scontato la sua esistenza.

Per la realizzazione di questo progetto, qual'è la procedura burocratica che avete seguito?
Abbiamo presentato il nostro progetto al Comune di Settimo, il quale ci ha mostrato le aree che erano disponibili e adatte al conseguimento della nostra iniziativa.
Noi a quel punto abbiamo scelto una zona a ridosso della scuola elementare di via Lussu, che circonda la serra, costruita dall' ANFAS, associazione che lavora a Settimo da anni con i disabili.
Questa serra è ora di proprietà della Casa Famiglia di Settimo e le stesse educatrici del centro hanno mostrato da subito interesse per la creazione di un' orto in quell' area.
A quel punto, la zona di 1110mq di nostro interesse, che prima era adibita a parcheggio, ci è stata assegnata tramite una sorta di nullaosta da parte del Comune.
Da quel momento dopo aver recintato, a norma di legge l'area, abbiamo iniziato i lavori.

Un' iniziativa di questo genere richiede senz'altro una buona dose di senso pratico. Come avete pianificato il tutto?
L' associazione Terraterra è composta da 12 associati, ognuno dei quali  paga una quota associativa e, qualora sia interessato ad avere un proprio orto,paga anche una piccola quota aggiuntiva.
Parte della zona è divisa in lotti singoli di 30mq, messi appunto a disposizione di chi fosse interessato alla coltivazione.
Prima di tale divisione, però, abbiamo dovuto lavorare tutti insieme per la vera e propria creazione dell'orto stesso.
Il risultato di questo lavoro è stata una vera e propria dimostrazione di "democrazia partecipata": lavorando insieme infatti siamo stati un ottimo esempio, anche per noi stessi, di come si possa convivere e condividere ciò che la terra ci può dare dopo un lungo e soddisfacente percorso.
Mangiare la prima  frittata di zucchine, prodotte da noi, tutti insieme, davanti a un buon vino nell'orto stesso è stata un' esperienza semplice ma appagante.

Che tipo di benefici ha portato nella vostra vita quotidiana un'iniziativa come quella dell'orto?
C'è una frase che dice, "l'orto vuole l'uomo morto".
La metafora sta ad indicare che per fare l'ortolano è necessario dedicarsi anima e corpo nel lavoro e nella cura degli ortaggi: l'esperienza all'inizio ti prova, richiede un lavoro costante e spesso faticoso,
ma nonostante ciò, non ho dubbi nel garantire che per tutti noi cimentarsi in questa attività è stato terapeutico.
E non solo,ma è stato utilissimo anche da un punto di vista prettamente economico: in questo periodo di crisi è capitato di stare mesi senza percepire uno stipendio e senza i prodotti dell'orto non sò come avremmo fatto a tirare avanti.

Spesso è difficile avvicinare i giovani ad esperienze di questo tipo, secondo lei qual'è il motivo e come pensa si possa far rinascere in loro la curiosità nei confronti di un iniziativa come questa?
Quando andiamo nelle scuole per i nostri spettacoli ad esempio, mi rendo conto che i bambini non hanno più quella creatività e quella manualità nella creazione dei giochi, che aveva la nostra generazione.
Penso che come genitori, se vogliamo che i nostri figli si incuriosiscano di nuovo per quello che hanno intorno, cogliendo la bellezza delle cose più semplici, dovremmo fare in modo che le ore passate davanti alla televisione o allo schermo di un pc, non siano il loro unico momento di svago. Regaliamo loro il tempo dell'immaginazione.