Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

«Dona Flor», tra sogno e realtà

Fonte: La Nuova Sardegna
8 gennaio 2010

VENERDÌ, 08 GENNAIO 2010

Pagina 37 - Cultura e Spettacoli


Al Massimo di Cagliari, mercoledì la prima nazionale dello spettacolo interpretato dall’attrice Caterina Murino




WALTER PORCEDDA

Caterina Murino, bellezza sarda dall’espressione rapita e imbronciata indossa i panni della bahiana Dona Flor, quella del monumentale romanzo di Jorge Amado, nell’allestimento omonimo che dopo le anteprime di Carbonia e Sassari ha debuttato con la regia di Emanuela Giordano mercoledì in prima nazionale al Massimo di Cagliari, nella città natale di questa attrice cinematografica stavolta alle prese con un primo impegnativo esordio sulle tavole di un palcoscenico. In un ruolo ingombrante e difficile. Quello cioè della protagonista raccontata in quel geniale libro-affresco a tinte forti del popolo di Salvador che risponde ai quotidiani mali dell’esistenza e alle oppressioni delle dittature, con un’immersione totale nella vita. Femmina fremente d’amore quanto donna desiderosa di stabilità affettive ed economiche, proprio come tante madri sognano per figlie da maritare, Donna Flor, di mariti addirittura ne possiede due. Il primo, defunto per infarto a Carnevale, un puttaniere dedito esclusivamente all’arte del sesso, l’altro, sposato in seconde nozze, un farmacista buono e timorato, disponibile fino alla noia nel riversare a tonnellate cure e attenzioni, ma parco con il sesso elargito con il contagocce. Così, solo come può accadere nel paese di candomblè e santeria, dei riti misteriosi tra cielo e terra, il primo, Vadinho, torna dall’oltretomba per soddisfare le voglie e le passioni dell’amata. Terzo non incomodo tra i due a testimoniare che forse un amore solo non basta mai...
Questa è, scarnamente, l’ossatura della trama di quel capolavoro reso da Amado in pagine dalla perfetta architettura, cronaca della schizofrenica Flor, donna combattuta tra il sogno dell’amore e l’amore per il sogno. Quello carnale per il marito scomparso, e l’altro per il farmacista, platonico e ancorato alla terra.
Di tutto questo nella pièce non è rimasto moltissimo se non quell’ondeggiare continuo tra realtà terrena e virtuale. Un gioco simbolicamente accentuato dalle scene inventate da Andrea Cecchini con immagini proiettate su schermi, usati come lampade magiche per varcare il confine tra il dentro e il fuori. Nella divisione labile tra il sogno e la vita. Qui si muovono gli attori dentro un teatro leggero confezionato in modo discreto, cioè ben curato. Con al centro Caterina Murino che con aria spesso trasognante disegna una Donna Flor, più principessa da fiaba che donna caldissima di Bahia.
Quasi una commedia musicale - grazie alle belle musiche originali eseguite dal vivo dalla Bubbez orchestra - che sta sempre sull’orlo del vaudeville, ma non osa andare in profondità, galleggiando elegantemente in superficie. D’altra parte il soggetto, intrigante, ben si presta anche a questo tipo di letture, con qualche scoppiettìo di comicità.
A mettere anche fisicamente i piedi per terra in tutto quell’alternarsi tra reale e virtuale, ci pensano fortunatamente le tre comari, Simonetta Cartia, Claudia Gusmano e Laura Rovetti. Impeccabili nello stare in scena, ben oltre la funzione di coro a loro assegnatole diventano vere protagoniste, raccogliendo l’ultima eco di quel popolo raccontato da Amado. E regalano verve e ritmi giusti all’intero spettacolo, rendendolo accettabile e godibile. Anche nei passaggi scarsamente convincenti dei due mariti, Paolo Calabresi e Pietro Sermonti, apparsi sbiaditi ed evanescenti o quelli spigolosi della terribile madre interpretata da Serena Mattace Raso. Si replica tutte le sere sino a domenica.