Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Marat, Nièpce, Pacinotti E un filo comune: Cagliari

Fonte: L'Unione Sarda
19 ottobre 2009


Il padre del rivoluzionario era sardo, il fotografo visse a lungo in città, l'inventore della dinamo vi insegnò

Cos'hanno Marat, Pacinotti e Nièpce in comune? Semplice: il Comune di Cagliari: queste tre figure hanno dato vita alle loro idee avendo in testa neuroni superdotati, nell'olfatto l'aria di mare di San Bartolomeo e nelle papille gustative la burrida di qualche buon ristoratore cittadino.
Jean Paul Marat, l'amico del popolo della Rivoluzione Francese, era nato in Svizzera da padre cagliaritano. Sì, suo padre Giovanni Battista Mara (ma alcuni propendono per i più sardofoni Marra o Marras), nacque in città verso il 1705. Frate dell'Ordine dei Mercedari, smesso il saio si rifugiò a Ginevra nel 1740. Qui abbracciò la fede calvinista e sposo la sedicenne Louise Cabrol, figlia di un parrucchiere e nipote di profughi ugonotti francesi.
Qualche anno dopo il matrimonio, i coniugi si trasferirono a Boudry, nel cantone di Neuchatel. Giovanni ne prese la cittadinanza e il suo nome, ovviamente, cambiò. Fu registrato con il nome di Jean Marat, secondo una corretta grafia francese. Inizialmente lavorò come disegnatore di indiane (tele sottilissime, con colori vivaci, in auge tra la fine del 1700 e gli inizi del 1800), in un'azienda locale manifatturiera di tessuti. In seguito, verso il 1755, Jean o Giovanni (o Giuanni) divenne insegnante di lingue a Neuchatel. I coniugi Marat ebbero sette figli, il secondo dei quali, nato nel 1743, fu chiamato Jean Paul. La vita di Marat è nota, ma vale la pena riassumerla in poche righe. Pochi però sanno che fu un medico. Di lui si ricorda soprattutto l'attività rivoluzionaria. Deputato stimato e battagliero, nell'aprile del 1793 fu eletto presidente del circolo dei giacobini. Soffriva di una rarissima malattia della pelle. Per avere sollievo dei bruciori, faceva lunghi bagni in vasca. Qui scriveva le sue idee. E proprio qui trovò la morte, per mano di una girondina, Charlotte Corday, il 13 luglio 1793.
NIÈPCE Oggi fotocamera; ieri macchina fotografica; ier l'altro dagherrotipo, ovvero il primo strumento per fotografare, chiamato così in onore di Louis Mandè Daguerre, considerato come il suo inventore. In realtà la scoperta dovrebbe essere ascritta a un tal Joseph Nicèphore Nièpce. Il bello della vicenda è che tutto cominciò nel lontano 1796, quando Joseph e il fratello Claude, militari, erano di stanza a Cagliari.
Joseph proprio in quegli anni ipotizzò di poterla fissare con un procedimento chimico. Quindi, i primi vagiti di un parto lungo e travagliato risuonarono, o meglio, si focalizzarono nella mente di Joseph Nièpce, magari mentre si godeva un tramonto infuocato sulla Sella del diavolo. Dello straordinario scopritore d'Oltralpe, si hanno notizie sarde anche nel 1797. Esiste infatti l'atto di battesimo di suo figlio Isidore. Lasciata la città del sole, Nièpce, torna nella sua Francia. Da subito inizia a lavorare alla sua idea: ottenere lastre litografiche in modo facile ed economico. Nel 1826 ottiene la riproduzione su peltro di una stampa del cardinale George D'Amboise. Successivamente, mettendo la camera oscura alla finestra del suo studio, dopo una posa di circa otto ore, riesce ad ottenere un'immagine visibile. Si tratta della fotografia più antica ancora oggi conservata. Il 4 dicembre 1829 Nièpce e Daguerre fondano una società, con un contratto di dieci anni. Ma nel 1833 Nièpce muore. Daguerre non si scoraggia e continua a lavorare da solo. Nel 1839, a Parigi, nel Boulevard du Temple, fissa il primo soggetto umano: un signore che si fa servire da un lustrascarpe. Il 14 agosto dello stesso anno, ma a Londra, il procedimento di Daguerre viene brevettato.
Ma è bello sognare e dire che senza Nièpce e uno sfolgorante tramonto di mezz'estate al Poetto, la fotografia sarebbe comparsa solo molti anni dopo.
PACINOTTI Antonio Pacinotti è notoriamente l'inventore della dinamo. Che permise, per la prima volta nella storia dell'umanità, la possibilità di avere energia elettrica in quantità illimitata. Chi è cagliaritano sa che in via Liguria esiste un liceo scientifico che porta il suo nome. Ma probabilmente, non molti sanno che l'inventore lavorò per parecchi anni in città. Dal 30 marzo 1873 al 31 dicembre del 1881, fu professore di Fisica sperimentale e direttore dell'associato Gabinetto di Fisica, dell'Università karalitana. Nel 1874 chiese e ottenne, dal rettore Patrizio Gennari, di spostarsi a Pisa, per assistere il padre malato e allo stesso tempo aiutarlo nelle sue esercitazioni pratiche: anche lui era docente di Fisica. In quell'anno Pacinotti lavorò a una nuova macchina magneto-elettrica a volano elettromagnetico che poi realizzò a Cagliari.
Il 16 novembre 1875 tenne il discorso inaugurale dell'anno scolastico, “Cenni sull'istoria delle macchine motrici”. Idee ancora attuali a distanza di oltre 130 anni, nel campo delle risorse energetiche e ambientali. Se in un primo momento aveva scritto al rettore di sentirsi esiliato in Sardegna, quando gli offrirono la possibilità di tornare nella sua Pisa ci pensò su parecchio tempo. Ormai si era perfettamente ambientato a Cagliari. Nel capoluogo sardo aveva ottenuto un'officina ben attrezzata per i suoi esperimenti. In quegli anni di "esilio", conobbe la diciannovenne Maria Grazia Sequi-Salazar, che sposò in città il 29 aprile del 1882. La ragazza morì a Pisa pochi mesi dopo. A Cagliari, nel dipartimento di Fisica della Cittadella Universitaria di Monserrato, esiste un tornio a pedale con il quale lo scienziato costruiva le sue macchine straordinarie.
MARCELLO ATZENI

18/10/2009