Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Il vizio della memoria La scrittura contro l’orrore del mondo

Fonte: La Nuova Sardegna
8 ottobre 2009

GIOVEDÌ, 08 OTTOBRE 2009

Pagina 37 - Cultura e Spettacoli





Al festival Tuttestorie lo scrittore sloveno candidato al Nobel

COSTANTINO COSSU

A novantasei anni Boris Pahor, triestino di lingua slovena, vive una seconda giovinezza. Come scrittore, in realtà, vive la sua prima giovinezza, nel senso che i suoi libri, che sino a ieri nessuno si filava sia in Italia sia in Slovenia, ora vanno in testa alle classifiche di vendita (è successo due anni fa con «Necropoli»), sono recensiti e fanno discutere. Pahor è tra i candidati al Nobel che sarà assegnato oggi a Stoccolma, e proprio in questi giorni arrivano sui banchi delle librerie due nuovi titoli, «Tre volte no» (Rizzoli) e «Primavera difficile» (Zandonai). Il primo è una autobiografia: dall’antifascismo militante durante il Ventennio ai lager nazisti, sino all’Italia del dopoguerra vista da quel complesso crocevia di culture che è Trieste. Il secondo è un romanzo già pubblicato nel 1967, storia, anche questa autobiografica, d’un amore francese subito dopo l’orrore dei campi di concentramento tedeschi. E domani Pahor sarà in Sardegna, a Cagliari per il festival «Tuttestorie», dove alle 19 in piazza San Cosimo sarà intervistato da Marino Sinibaldi. Il tema dell’incontro è «Il vizio della memoria»
Il vizio della memoria, tenacemente coltivato in tutti i romanzi di Pahor e ora trionfante nell’autobiografia. I tre «no» del titolo del libro pubblicato da Rizzoli sono al fascismo, al nazismo e al comunismo, i totalitarismi del Novecento. Anche se Pahor distingue: «Per il comunismo - dice al telefono dalla sua casa triestina - il mio “no” è alle dittature, non alle idee di eguaglianza e di giustizia. Quelle restano. Mentre fascismo e nazismo partivano da ideologie fondate sulla disuguaglianza e sul dominio, di un popolo sugli altri, di una razza sulle altre». Ed è al fascismo, soprattutto, che la memoria corre: «Allora la scuola, per noi sloveni, era una umiliazione bruciante. Bisognava parlare e scrivere in italiano. I maestri e i professori ci punivano severamente se ci sfuggiva anche una sola parola nella nostra lingua. E vogliamo ricordare che cos’è stato nella Venezia Giulia il regime di Mussolini? Centinaia di sloveni imprigionati come oppositori politici, per non parlare di quelli che finivano di fronte al plotone d’esecuzione. E ciò che fecero i fascisti in Slovenia? Va bene parlare di foibe, ma senza perdere il ricordo di che cos’è stato per la mia gente il fascismo». D’altra parte, di foibe non è che lo stesso Pahor non ne abbia mai parlato. E’ stato tra i primi, a metà degli anni Settanta, a denunciare, insieme con il poeta Edvard Kocvek, la strage degli sloveni «domobranci», collaborazionisti dei nazifascisti in fuga. E’ anche per questo che, sino a un decennio fa, in Slovenia i suoi libri erano praticamente al bando.
La memoria è una buona compagna. Risarcisce dal dolore patito, semplicemente rinominandolo; ma sa anche ritornare, veloce e precisa, lì dove alla spietata follia del mondo s’è quasi miracolosamente sostituito, per una stagione sola, l’amore. Come nel romanzo «Primavera difficile»: «Si chiamava Madeleine - ricorda Pahor - l’infermiera che mi curò quando, sopravvissuto ai campi di sterminio, combattevo contro la tubercolosi in un ospedale a Villiers sur Marne. Un amore assolutamente gratuito, un dono meraviglioso fatto a me che ero, mi sentivo, solo un avanzo d’uomo».
Il vizio della memoria non è, per Pahor, chiusura nel fortino del passato per ripararsi dal presente. Al contrario, è pervicace meccanismo di affermazione, qui e ora, delle ragioni della vita, della nuda corporalità dell’esistere. «Se davvero ci fosse un creatore intelligente dell’universo - dice l’autore di «Necropoli» - non ci avrebbe fatti capaci di compiere il male. Contro l’orrore, quindi, non possiamo appellarci ad alcun Dio. La responsabilità di scegliere è soltanto nostra». E scegliere è impossibile senza ricordare.