Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

La rivoluzione al Cep: via gli spacciatori, ora si vendono le case

Fonte: L'Unione Sarda
15 luglio 2019

Quartieri del malessere, molti alloggi riscattati e nel rione nasce il senso di appartenenza a una comunità

La rivoluzione al Cep: via gli spacciatori, ora si vendono le case

Pochi i pericoli, solidarietà fra abitanti, molte aree verdi e assenza di vandali 

Alle maledizioni si può resistere, anzi: le maledizioni si possono perfino rovesciare. Ci vogliono tempo e applicazione, ed entrambi non sono mancati agli abitanti del Cep, un quartiere dal passato criminale di una certa consistenza (per lo spaccio di droga) nel quale era pericoloso mettere piede. Ma questo accadeva negli anni Ottanta e Novanta, con qualche coda a inizio millennio. Chi l'ha frequentato all'epoca, ora non lo riconoscerebbe: via Flavio Gioia non è più una delle principali piazze dello spaccio della città e, a testimoniarlo, ci sono i “mattinali” degli interventi di Questura e Comando dei carabinieri. Al Cep, le forze dell'ordine vanno con la stessa frequenza con cui lo fanno in rioni ben più blasonati: se si cercava un certificato di “avvenuta rivoluzione”, dunque, eccolo qua. Quel che a Sant'Elia e a San Michele, ad esempio, si spera che prima o poi accadrà, al Cep è già successo. E continua ad accadere.
Un volto nuovo
Che cosa è avvenuto, nel rione di case popolari i cui primi mattoni arrivarono una sessantina di anni fa? Tante cose, raccontano i “pionieri” della residenza al Cep, felici di parlare di quello che finalmente sentono come il proprio quartiere ma un po' restii a farlo fornendo nome e cognome. Timidezze a parte, viene fuori che i personaggi di spicco della malavita legata alla droga - decenni fa - sono stati spazzati via da ciò che vendevano negli angoli del Cep, soprattutto in via Flavio Gioia: l'eroina li ha uccisi quasi tutti, qualcuno ne è uscito in tempo e ha messo su famiglia lavorando onestamente, qualche rarissimo “spettro” ancora si aggira sperduto nel rione consapevole di essere definito «tossina». Grazia Paravagna, 62 anni, da dieci al Cep, quasi non crede a come le descrivono il quartiere prima del suo arrivo: «Per fortuna le nuove generazioni non sono come la nostra: chi è caduto nella droga, forse è riuscito a evitarlo ai figli». Negli anni Ottanta e Novanta, al contrario, certe tradizioni erano di famiglia.
L'identità di quartiere
Nei tempi bui, se in città si chiedeva a un residente «di dove sei?», quelle tre lettere (C-E-P) arrivavano con un sussurro: niente di cui andare orgogliosi. Provateci ora, a girare nelle strade oltre via Castiglione, per sentire voci ben più fiere: «Sono qui da 11 anni, sto benissimo e qui resterò», sorride Mario Laconi, imprenditore in pensione. Meno di due anni fa Riccardo Vacca ha riaperto l'edicola di via Flavio Gioia, rimasta chiusa per un annetto: «Persone non del rione mi chiedono se sono a conoscenza di appartamenti in vendita».
Mercato immobiliare
Già, perché un quartiere dal quale molti volevano scappare, ora ha un certo potere di richiamo perché al Cep si vive tranquilli, la zona è servita dai mezzi pubblici (la linea 1 del Ctm è tra le più importanti e conduce in centro) e le case costano meno: sono quelle riscattate dagli assegnatari, perché l'intero rione è costituito da edifici cosiddetti “Erp” (Edilizia residenziale pubblica) piuttosto ben fatti, che ora fanno capo all'agenzia regionale Area. «Soprattutto, non ho più paura quando torno a casa», sospira Loredana Mastinu, «anche se c'è un tratto di strada bianca che ancora mi dà angoscia, ma non succede mai nulla».
Rione a basso reddito
Certo, il Cep è un rione “vecchio” nel senso dell'anagrafe: moltissimi i pensionati, perché sono assegnatari da molti decenni. Il fatto che gli appartamenti riscattati finiscano sempre più sul mercato, però, potrebbe dare una mano di verde (nel senso dell'età) al Cep, che di verde (dell'altro tipo, cioè i giardinetti) è tutt'altro che povero. Peraltro, nel rione, si vedono solo pochissime buste di immondezza abbandonate: qui la differenziata si fa con scrupolo. Però i ricchi non vivono certo al Cep e lo sa Sara Cossu, 33 anni, titolare con il marito dell'unico negozio di alimentari del rione, in via Flavio Gioia. Spiccano gli enormi contenitori metallici che contengono il vino rosso e bianco sfusi (al litro, rispettivamente, 1,75 e 2 euro). «Da quando c'è il reddito di cittadinanza, gli affari sono un po' migliorati», sorride la negoziante che non è originaria del rione, ma chiama per nome i suoi clienti. Fra loro c'è Rossana Alivia, pensionata di irresistibile simpatia (pur tra alcune durezze), che spalanca gli occhi: «Non so molto del quartiere, ci vivo solo da 51 anni». Ricorda bene quando «gli alberi avevano più siringhe conficcate che rami» e in via Flavio Gioia, ma anche in piazza Pitagora, «bisognava stare attenti». Ma quello è il passato. I problemi sono ora i negozi (pochi e tutti in via Gioia, ma ci si consola con due market e un centro commerciale poco lontani) e la convivenza condominiale con Area. Gli appartamenti riscattati sono la minor parte, quindi alle assemblee di condominio Area arriva stracarica di millesimi: decidono loro le spese che poi tutti devono sostenere. In un quartiere in cui i ricchi c'erano solo un tempo, e lo diventavano trafficando droga, certe spese spaventano. Perché la prima rivoluzione del Cep è in parte compiuta, ma per la seconda - un reddito più alto - non siamo neanche ai preparativi.
Luigi Almiento