Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

«Ma la storia della città è incancellabile e reggerà all’assalto dello sviluppo»

Fonte: La Nuova Sardegna
13 agosto 2009

GIOVEDÌ, 13 AGOSTO 2009

Pagina 1 - Cagliari
La denuncia Il paesaggio irripetibile della necropoli sul colle di Tuvixeddu è minacciato da nuovi palazzi dozzinali

CAGLIARI. Il caso di Tuvixeddu e della necropoli punico-romana minacciata dal cemento è ormai un caso internazionale. Dopo l’incontro organizzato dalla Provincia a Bruxelles si sono occupati delle sorti del sito archeologico diversi giornali europei. Le iniziative dei parlamentari Fabio Granara e Domenico Della Seta, col presidente Graziano Milia, potrebbero accelerare i tempi per l’inclusione di Tuvixeddu fra i siti tutelati dall’Unesco come patrimonio dell’umanità. Qui pubblichiamo un articolo sulla città e sul problema del colle punico dello scrittore cagliaritano Giorgio Todde uscito sul giornale parigino Le Nouvel Observateur.
Cagliari ha tremila anni. I fondatori scelsero questo sito perché, quaggiù, a novanta miglia dall’Africa, trovarono un golfo sul palmo di un dio, promontori e colli di roccia bianca dove vivere era facile. Alle origini, i nuragici, artigiani indecifrabili del bronzo e della pietra. Da allora tutto arriva dal mare. I Fenici tracciano le rotte del Mediterraneo e fondano Cagliari. Poi la città diventa Punica e poi romana per molti secoli. E’ un porto importante. La storia va avanti. I Vandali, Bisanzio e i due evi medi. L’epoca dei Giudicati. Le invasioni moresche, i Pisani e i Genovesi. Eleonora d’Arborea e il suo nuovo ordinamento, la Carta de Logu. Poi, a lungo, gli spagnoli e la decadenza. Quindi i Savoia, il Regno di Sardegna e la modernizzazione ottocentesca. Le rivoluzioni europee si sentono anche da queste parti. Antoine Valery nel 1834 ed Edouard Delessert nel 1854, due francesi originali, arrivano a Cagliari. Fuori dal Grand Tour. Scrivono diari di viaggio e Delessert fotografa la città. Sono le prime immagini della nostra storia. A Cagliari giungono gli echi del Risorgimento.
Il XX secolo. Antonio Gramsci fa il suo liceo a Cagliari. Ma la carneficina della Grande Guerra travolge anche l’isola. Pastori e contadini, riuniti nella Brigata Sassari sono mandati a morire sul Carso e Emilio Lussu li racconta in “Un anno sull’altipiano”. Il fascismo, la tragedia e le macchiette locali sono narrati dallo stesso Lussu. Poi la seconda guerra, l’occupazione tedesca senza dolore, i bombardamenti anglo-americani del ‘43 e tanto sangue che spiega l’antiamericanismo degli anziani di oggi.
La città inizia la sua ricostruzione e l’inurbamento è feroce. Nasce una nuova classe dirigente insieme ai nuovi brutti quartieri, anni 50 e 60, che la raffigurano. L’edilizia dimentica l’architettura. Impresari e commercianti disegnano la città sulla propria immagine e producono una generazione politica conformata, come un calco di gesso, alla loro visione materiale delle cose. I cosiddetti intellettuali si rifugiano, nostalgici, in un mondo sognante vicino all’infanzia, lontano dalle azioni e pauroso delle conseguenze. Ma qualcosa cambia negli ultimi decenni. Si smette di masticare i fiori di loto che danno amnesia. La memoria ritorna nella testa di alcuni. La città si guarda, finalmente si riconosce e vede la propria identità, prima di tutto, nei luoghi. Si risveglia un’anima critica che comunica, osserva ed è interessata alle proprie origini. E ricava energia dal passato senza essere passatista. Guarda indietro per essere moderna perché quando uno sa di cosa è fatto e da dove viene non ha bisogno di altro per stare al mondo. E si oppone alla disastrosa frenesia del fare a tutti i costi. Però l’altra anima, quella mercantile, resta forte. E la città, intanto, cresce senza una filosofia del costruire. Rimuove il passato. Arriva a ricoprire di asfalto e cemento il suo contado agricolo e lo chiama hinterland. Deturpa la sua spiaggia abbagliante. Insidia con bitume e palazzi gli stagni sconfinati, meravigliosi, a est e a ovest. E tutto questo lo chiama “sviluppo”. Ma è accaduto nel frattempo che l’abbandono e la dimenticanza - le sole scappatoie all’ingordigia delle imprese - abbiano salvato molti luoghi preziosi. C’è a Cagliari un sito unico e sublime che si chiama Tuvixeddu, la collina dei piccoli fori. La più grande necropoli punica del mondo. I fori sono migliaia di pozzi scavati nel calcare bianco che conducono a camere funerarie profonde. Un luogo sovrumano. Il passaggio dalla luce al buio. Una città all’inverso, in parte distrutta perché sfruttata come cava sino agli anni settanta. Ma anche il paesaggio della cava, nel frattempo, è divenuto bello, felice perché lasciato a sé, lontano dagli architetti capricciosi. Falchi, orchidee, iris, asfodeli, cieli perfetti, tramonti violenti, la vista degli stagni, il colle resta un luogo sacro. E si conserva. Però la città è arrivata sin qui e la speculazione, nella forma più organizzata, ha messo gli occhi sul colle di Tuvixeddu. Migliaia di sepolcri sono rimasti integri, altri ce n’è da scoprire e l’area, di oltre quaranta ettari, è proprio dentro Cagliari, assediata da una periferia squallida e palazzi costruiti sulle tombe. Le metastasi del cancro edificatorio stanno divorando Tuvixeddu e i resti dei nostri antenati fenici, punici e romani. Una parte di opinione pubblica locale e nazionale cerca di salvare la collina soprannaturale dove un’impresa vuole palazzine dozzinali. Il Presidente della Regione blocca le costruzioni. I tribunali però danno ragione alle imprese. Ricorsi. Nuovi blocchi. Una selva giuridica. Perfino il Times di Londra dedica una pagina alla necropoli. Gli intelletti locali sono usciti dall’infanzia.
Tuvixeddu è una metafora compiuta che spiega la forza delle nostre origini - quando ce le ricordiamo - e dimostra che la protezione dei luoghi coincide esattamente con la modernità, quella buona. Dimostra che esiste una modernità pericolosa e tossica, che distrugge il “bello” senza il quale non si può vivere. Dimostra che una città assonnata può svegliarsi e difendere un patrimonio tanto unico che non è neppure dei sardi ma è universale. Dimostra che quando la politica si mescola con l’impresa ci si ammala di una malattia contagiosa che si chiama Sviluppite. Una forma deviata e mortale dello sviluppo. E Cagliari è un’incubatrice di questa malattia. Ma una società raccolta, come quella di un’Isola, è alle volte un laboratorio dove tutto è più chiaro perché è rimpicciolito. Di colpo i simboli si svelano e l’allegoria di Tuvixeddu spiega molte altre città, avvilite dallo sviluppismo. Cura, serve. Anche la nostra Costituzione dice che il bene culturale deve prevalere sull’interesse economico. Chi viene in città deve cercare con cura il tesoro mascherato sotto una patina di “nuovo” dozzinale uguale a tanto altro “nuovo” sparso per il mondo. E un occhio curioso scoprirà che ciascuno dei tremila anni di storia ha lasciato a Cagliari una traccia ostinata anche se vedrà il “moderno” palazzo dello stesso architetto che ha prodotto lo stesso palazzo sotto cieli diversi. La storia è incancellabile. I luoghi resistono e mettono in movimento gli avvenimenti. I morti della necropoli di Tuvixeddu possiedono la forza dell’assoluto e ancora determinano conseguenze. La rocca medievale resiste ai tentativi di renderla “progredita” con scale mobili e ferraglia. L’anfiteatro rivolto al mare durerà più delle impalcature che oggi lo sfigurano. Il promontorio sacro della Sella del Diavolo resterà intatto anche se la città famelica gli gira intorno. L’immensa spiaggia luminosa annerita dal tentativo criminoso di ricostituirla e dalla mania del “fare”
Giorgio Todde