Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

“Mio cuore io sto soffrendo” Antonio Marras racconta l'amore

Fonte: L'Unione Sarda
22 novembre 2018

TEATRO. Il debutto ieri al Massimo di Cagliari dello spettacolo

 

Le feroci parole d'amore di Dino Buzzati, sferrate come pugni da Marco Vergani e Ferdinando Bruni (anima del Teatro dell'Elfo), volteggiano ancora nell'aria come lame pronte a conficcarsi nel cuore. Ma il battito regolare della nostra vita cambia all'improvviso. Sul palcoscenico dieci ragazzi vestiti di sole scarpe e mutande, e altrettante ragazze avvolte in bizzarri abiti bianchi, spose. Insieme segnano fisicamente il tempo. Le campane di vetro, scrigni trasparenti così cari a questo immaginifico artista di Alghero, chiusi nella prima scena si sollevano, liberando i cuori. Il ritmo cambia, si fa frenetico, e le note della celebre canzone di Rita Pavone inondano il teatro Massimo di Cagliari per l'ultimo, appassionato, caldo quadro di “Mio cuore io sto soffrendo”, poetico e complesso esordio teatrale di Antonio Marras. Ricambiato, ieri sera alla prima assoluta, dagli applausi del pubblico cagliaritano. Le coppie, altri noi su un palco nudo, dicono dei nostri amori dolci, perfetti, furiosi, violenti. Insieme, si soffrirà.
Un racconto dolente
Non ha proprio senso cercare una scenografia classica per un artista come Antonio Marras. “Mio cuore io sto soffrendo cosa posso fare per te” è un avventuroso e dolente racconto in quattordici quadri, o momenti, o tranche de vie , nei quali si indaga il dolore, la dimensione dell'angoscia umana. Qualsiasi sentimento ci si voglia individuare: il senso di colpa, lo smarrimento, la fragilità, la nostalgia, la passione, il desiderio. Anche se traspare una timida cifra giocosa. È un po' come se Marras dopo aver dato vita ad abiti e a quadri, nella sua incessante ricerca artistica avesse avuto bisogno di dare anche voce e parole alle sue ossessioni. Ha scelto di dare corpi a ritagli di ricordi, frammenti di poesie, con artisti che ama e stima, scrivendo con loro, forse, un “diario segreto”, fatto di incontri dedicati al cuore in cui giocano caso e illuminazione, talento e performance. E lo ha fatto con grazia, cucendo abiti addosso ai personaggi, unendo, facendo combaciare, accostando colori e tessuti, forme e simboli.
Calvino e Shakespeare
Solitaria, maestosa, piena di grazia, la top model Simonetta Gianfelice, avvolta in un coloratissimo mantello, racconta di una delle magnifiche mete delle “Città invisibili”: «All'uomo che cavalcava lungamente di terreni selvaggi viene desiderio di una città. Finalmente giunge a Isidora, città dove i palazzi hanno scale a chiocciola incrostate di chiocciole marine (...) dove quando il forestiero è incerto tra due donne ne incontra sempre una terza. A tutte queste cose egli pensava quando desiderava una città. Isidora è dunque la città dei suoi sogni: con una differenza. La città sognata conteneva lui giovane; a Isidora arriva in tarda età». Le risponde Giovanni Franzoni: «Non crederò allo specchio di esser vecchio finché se tu di gioventù coetanea. (...) Dunque, amore, abbia cura di te stessa, come avrò io - non per me ma per te, custodendo il tuo cuore da ogni male, come il bambino suo tenera balia».
Scena nuda
Semplice nella costruzione, grazie all'alternarsi di attori - tra questi una bravissima Federica Fracassi che fa la maestra - lo spettacolo di cui Antonio Marras è regista e ideatore (prodotto dal 369 gradi di Valeria Orani, insieme al Cedac) racconta. Di desideri. Sogni. Fino al bellissimo, struggente fulcro di “Mio cuore”.
Vincenzo Pusceddu
È l'emozionantissima performance “Argia” che ha per protagonista Vincenzo Pusceddu, ballerino e portavoce della danza terapia, un uomo che non ha paura di far vedere la sua mutilazione. Anzi. Arriva sulle spalle di un mamuthone che persi i campanacci e pelli, danza e lotta con lui. La caldissima voce di Elena Ledda, seduta in sedia a rotelle, intona unu dillu. Lamento e dolore, consolazione fino all'atto finale, quando prende sul suo grembo Vincenzo, restituendo al pubblico l'immagine di una pietà laica.
Questa prima volta di Marras è certamente una prova spiazzante, che riporta con la mente alla Triennale di Milano. C'è un artista che si racconta, non più solo con i suoi quadri ma con le parole. Anche quando queste diventano una lunga sequenza di ossimori della nostra fragile esistenza.
Caterina Pinna