Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Il battesimo dell'alcol arriva a nove anni La nuova tendenza dei giovanissimi è il “binge drinking”

Fonte: L'Unione Sarda
6 novembre 2018

ALLARME.

La psichiatra: «I genitori evitino comportamenti sbagliati, seguano i figli e vengano da noi se c'è un problema» Il battesimo dell'alcol arriva a nove anni La nuova tendenza dei giovanissimi è il “binge drinking”: bere il più possibile nel minor tempo 

 

«L'Istituto superiore di sanità dice che i primi contatti con l'alcol si hanno a undici anni. Purtroppo si inizia prima». Parla a ragion veduta Graziella Boi: direttrice del Centro trattamento disturbi psichiatrici correlati ad alcol e gioco d'azzardo patologico della Assl Cagliari, si è occupata di situazioni al limite del credibile. Il caso, per esempio, di un bambino di nove anni, figlio di genitori con una vita sociale molto intensa: il piccolo aspettava la fine delle tante cene ospitate in casa per scolare quello che rimaneva nei bicchieri e nelle bottiglie. Si comincia così (e in mille altri modi). E si finisce a trascorrere le serate del fine settimana alla ricerca dello sballo alcolico.
Il binge drinking
La definizione, ovviamente di derivazione statunitense, è sconosciuta a tantissimi genitori. Ma i risultati sono noti, sono sotto gli occhi di tutti: il “binge drinking” (bere sino allo stordimento) non è altro che una “gara” nella quale i giovanissimi devono assumere la maggior quantità di alcol nel minor tempo. L'obbligo è ubriacarsi quanto più velocemente possibile. «Anche se bevono soltanto nel fine settimana», chiarisce Boi, «si tratta, comunque, di uso patologico dell'alcol».
L'allarme
Sarebbe sufficiente questo per essere preoccupati. Ma, nel ragazzino che abusa di alcol, ci può essere una comorbidità, la coesistenza, cioè, di questa con altre patologie. «Con l'uso di sostanze cannabinoidi ma anche con il gioco d'azzardo patologico». Cose da non sottovalutare. «Segnali di un disagio che può essere sintomo di una depressione o di un disturbo d'ansia, della personalità». Solo che, molto spesso, si interviene in ritardo. «La neuropsichiatria infantile deve fare rete con la psichiatria. E, spesso, né la scuola né i genitori percepiscono la situazione di disagio».
La famiglia
Eppure capire che c'è qualcosa che non va dovrebbe essere semplice. «Non è possibile», taglia corto la direttrice del Centro, «non rendersi conto del fatto che il proprio figlio abbia qualche problema». Sono parecchi i segnali che dovrebbero allarmare i genitori: il fatto che, dopo una serata con gli amici, i figli non hanno voglia di andare a scuola; una certa abulia; un crollo del rendimento scolastico; i cambiamenti d'atteggiamento: un ragazzino timido non può, da un momento all'altro, trasformarsi in un estroverso.
L'intervento
Che cosa devono fare i genitori quando sospettano l'esistenza di un tale problema? «Si mettono in contatto con la scuola per avere risposte ai propri dubbi, per capire se certi segnali sono stati colti anche lì. Purtroppo, non sempre le scuole hanno il tempo per affrontare certi problemi». E poi, possono rivolgersi al Centro, nel padiglione A della Cittadella sanitaria. «Noi siamo disponibili», spiega la psichiatra, «a offrire risposte modulate ai genitori, alle scuole, anche con progetti di peer education».
La cultura
Ma occorre intervenire da prima. «Se, sin da piccoli, i bambini si abituano a vedere i genitori bere vino a tavola, considerano il bere alcol un comportamento accettabile». Senza sapere che un solo bicchiere di vino contiene 12 grammi di alcol, la stessa quantità di una 0,33 di birra, di un aperitivo da 80 millilitri o di un superalcolico da 40.
Marcello Cocco