Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Le relazioni invisibili e le discriminazioni a scuola come in ufficio

Fonte: L'Unione Sarda
9 luglio 2018

Le relazioni invisibili e le discriminazioni a scuola come in ufficio 

a domanda è: nel 2018 c'è ancora bisogno di marciare per difendere il diritto ad amare chi si vuole? La risposta sta nel progetto incompiuto di una donna costretta a restare nell'ombra. Nel muoversi incerto di un ragazzo al lavoro. Nella difficoltà quotidiana di una giovane scambiata troppo spesso per una poco di buono. Tre storie che raccontano di relazioni invisibili e verità taciute per paura che il proprio orientamento sessuale possa far crollare il mondo intorno. Tre persone che alla domanda iniziale rispondono senza riserve: «Sì, vale ancora la pena».

RACCONTI PROIBITI «Il mio sogno è quello di poter raccontare un giorno la mia storia con nome e cognome». Fino a quel momento lei si chiamerà Silvia, un nome inventato per proteggerla da pregiudizi e sospetti. Quarantasei anni, una figlia di dodici, una compagna di vita e un segreto lungo otto anni. Silvia è una maestra delle Elementari. «Al lavoro nessuno sa della mia omosessualità. È troppo difficile, appena faccio un passetto in avanti e penso di aprirmi, torno subito indietro perché ho paura. Mi chiudo, mi devo proteggere. Mentre nella mia vita privata ho delle persone che mi accettano e mi vogliono bene, nella realtà lavorativa capisco di non poter essere me stessa». Una doppia vita oltre il portone della scuola in cui insegna Italiano: impossibile condividere con i colleghi i racconti delle vacanze o di una convivenza felice. «Quando ho proposto ai miei bambini dei racconti dedicati proprio all'accettazione delle diversità e contro gli stereotipi, alcuni genitori sono insorti. Eppure erano brani per l'infanzia, fatti apposta per alunni della loro età». Messi via i libri contestati, Silvia ha rinunciato a mostrarsi per quello che è. «Ho troppa paura che la mia omosessualità possa servire per mettere in discussione le mie capacità professionali. La scuola dovrebbe essere un mondo aperto, dove prima che altrove si pratica l'accoglienza ma nel mio caso non è così».

CARRIERA IN SALITA Riccardo non si nasconde. Ha ventinove anni, fa l'ingegnere ed è un'attivista in difesa dei diritti del mondo Lgbt. «Il fatto che io abbia detto ai miei colleghi di essere omosessuale e di vivere con il mio compagno non significa che tutto sia normale. Rispetto agli eterosessuali noi siamo sempre costretti a fermarci prima di parlare e cercare di capire chi abbiamo di fronte». Da qui l'impegno per una maggiore visibilità. «È chiaro che un omosessuale deve interrogarsi sulla possibilità che il suo orientamento diventi una macchia sul curriculum, un fattore che può influire su eventuali avanzamenti di carriera. Sembrano cose superate, ma non è così. C'è ancora bisogno di sensibilizzare la società».

UNA COSA A TRE Trent'anni, una laurea in Lettere, un progetto lavorativo di cui non parla per scaramanzia e un impegno costante per difendere «la bisessualità e la pansessualità». Cinzia (il nome è inventato) si sente discriminata due volte. «Noi bisessuali non solo siamo vittime dell'omofobia tradizionale, ma anche dei pregiudizi del mondo Lgbt dove la nostra condizione da alcune persone viene vissuta come una fase di passaggio. Io avevo delle amiche lesbiche che mi facevano pressioni perché mi dichiarassi omosessuale, perché è più facile». La logica binaria continua ad andare per la maggiore. «La nostra situazione è diversa, è la più fluida che si possa immaginare ma spesso viene associata a situazioni dettate da stereotipi sbagliati. Per esempio, quando dico a un uomo di essere bisessuale di solito immagina subito che sia una ragazza facile o che si possa fare una cosa a tre, ma non funziona così». Per chi si trova nella situazione di Cinzia è nato il gruppo facebook “Bisessualità e pansessualità Sardegna” che offre confronto e supporto a coloro per i quali vale ancora la pena di marciare.
M. C.