Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

«Vi racconto come si diventa esperti di mosche»

Fonte: L'Unione Sarda
20 giugno 2018

MARINA CAFÈ NOIR. Fredrik Sjöberg, biologo svedese convertito alla scrittura, ospite del festival

 

 

 

T alento, fortuna, marketing? Cosa renda un libro un caso letterario internazionale non è dato sapere. Ma il fatto che capiti a un'opera intitolata “L'arte di collezionare mosche” (Iperborea editore), significa per certo che abbiamo a che fare con un autore fuori dal comune. Sale dunque l'attesa per l'incontro che stasera vedrà protagonista lo scrittore svedese Fredrik Sjöberg, insieme al giornalista Nicola Muscas, sul palco di Marina Cafè Noir, alle 20, in piazza San Domenico.
Il tema sarà la “Rappresentazione del mondo”, attraverso lo sguardo particolare di Sjöberg che traspare anche dai suoi libri, inclassificabili combinazioni di vicende autobiografiche, ritratti di scienziati o artisti poco noti, divagazioni letterarie e riflessioni sull'arte del collezionismo.
Come altri scrittori (Houellebecq, Pynchon o Primo Levi), lei viene da una formazione scientifica. Questo ha inciso sui suoi libri?
«All'inizio ero un biologo che usava un'attitudine alla scrittura per divulgare argomenti scientifici; in seguito ho usato la mia esperienza da scienziato per scrivere di quello che più mi interessa».
Ci svela come si diventa uno dei maggiori esperti di mosche al mondo?
«Non è così difficile, siamo davvero in pochi ad avere questa passione. Vivo da trent'anni a Runmarö, una piccola isola vicino a Stoccolma: sono bastate due settimane ed ero già il più esperto dell'arcipelago. Scherzi a parte, da un lato c'era il mio amore per il collezionismo, dall'altro il desiderio di diventare esperto in un ambito circoscritto, controllabile. Il titolo in inglese dell'opera, “The fly trap” (La trappola per mosche), si riferisce anche alla follia in cui può sfociare il collezionismo, e al senso di oppressione che possono indurre le isole».
Ha dichiarato che odia scrivere.
«Confermo, scrivere è un esercizio faticoso, solitario e totalizzante; sono contento quando non devo farlo. Amo quello che viene dopo (gli scambi con i lettori, scoprire nuovi posti grazie ai festival), e quello che viene prima (la caccia al nuovo argomento, la ricerca del materiale). D'altra parte, è quello per cui sono portato».
Lei è anche un critico letterario; come accoglie le recensioni dei suoi libri?
«Non le leggo, se non dopo molti anni. Ci pensa mia madre, che ha novantatré anni: se sono positive le chiedo di parlarmene, altrimenti possiamo tralasciare. Sono una persona che si imbarazza facilmente».
Per toccare la sfera politica: la Svezia era un sinonimo di accoglienza per rifugiati e migranti, ora qualcosa sta cambiando?
«Sì, ma soprattutto a livello politico. I partiti erano impreparati e avevano sottovalutato l'ostilità per gli stranieri di alcuni gruppi sociali. Dovremo passare anni difficili prima che la situazione si riequilibri, ma io resto sempre ottimista».
Luca Mirarchi