Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Disabili e “Operazione T4”,primo laboratorio della Shoah

Fonte: L'Unione Sarda
26 gennaio 2018

Disabili e “Operazione T4”,primo laboratorio della Shoah

« V ite indegne di essere vissute». È sulla base di questo principio, giustificazione della teoria eugenetica di cui il nazismo si nutriva, che , a partire dal 1939, Hitler avviò il programma di sterminio dei disabili. Battezzato “Operazione T4”, fu il primo laboratorio della Shoah. Consentì la sperimentazione delle camere a gas e dei crematori e assicurò la disponibilità di cavie umane per la ricerca medica.
A questo approfondimento nella genesi dell'orrore è dedicato, alla vigilia della Giornata della memoria, il convegno organizzato dall'Università di Cagliari, dall'Istituto sardo per la storia della Resistenza e dall'Associazione culturale italo-tedesca. Appuntamento stasera (dalle 15,30) a Sa Duchessa, nell'Aula magna del Corpo aggiunto. L'iniziativa è aperta a scuole e cittadinanza.
LA LEZIONE DELLA STORIA Dopo i saluti di Francesco Atzeni, direttore del Dipartimento di Storia e beni culturali, saliranno in cattedra Claudio Natoli, ordinario di Storia contemporanea a Cagliari e Christoph Schminck-Gustavus, professore emerito di Storia del diritto all'Univ ersità di Brema. Lo storico dimostrerà come lo sterminio dei disabili (1939-1941), preceduto da campagne di sterilizzazione, sia stato «la prima operazione di omicidio tecnologico di massa attuata direttamente in Germania dal nazismo». Il giurista stenderà il ritratto del giudice Lothar Kreyssig (1898-1986), figura-simbolo di una resistenza al regime.
L'OPERAZIONE T4 La definizione ricorrente di “Operazione eutanasia” non piace a Natoli perché non adeguata a descrivere la fabbrica di morte inaugurata su ordine di Hitler all'indomani dell'occupazione della Polonia. Destinata a restare segreta e concepita al di fuori dalla legge, l'Operazione T4 «era diretta da un ufficio guidato da burocrati della cancelleria del Führer e dal suo medico personale Carl Brandt. Il primo passo fu la schedatura dei disabili ricoverati nelle case di cura. Seguì il loro trasferimento in 5 sedicenti istituti sanitari dove fu sperimentato il sistema delle camera a gas e dei forni crematori».
LA REAZIONE Furono 80mila le vittime (tra cui 5mila bambini) della prima fase dello sterminio che si concluse grazie alla reazione dell'opinione pubblica: fumo e odore di carne bruciata destarono un diffuso allarme, i parenti iniziarono a chiedere conto della sparizione dei loro cari, così come fecero alcuni magistrati e i rappresentanti delle Chiese protestanti e cattolica. Eclatante - ricorda Natoli nella ricostruzione - l'iniziativa del vescovo di Münster Clemens August von Galen. Il 3 agosto 1941 denunciò dal pulpito e con una lettera pastorale l'assassinio dei disabili. Non fu condannato a morte. «Il regime non poteva permettersi uno scontro con le istituzioni religiose in un momento delicato della guerra. Hitler sarà quindi costretto a smantellare l'apparato centrale dell'Operazione T4, ma lo trasferirà nei campi di sterminio di Belzec, Sobibór, Treblinka e Auschwitz». L'eliminazione dei disabili non s'interruppe, tuttavia. Nella fase successiva (difficile quantificare le vittime, stime non verificabili parlano di 200mila) si individuarono strutture sanitarie disposte a praticare la soppressione con false e normali procedure mediche.
IL GIUDICE RIBELLE La reazione dell'opinione pubblica e di alcune autorità (il Papa, soprattutto) avrebbe potuto impedire il genocidio degli ebrei? Ne è convinto, assieme a Natoli, anche Christoph Schminck-Gustavus. «Il caso di Lothar Kreyssig è illuminante. Membro della Chiesa confessante e giudice tutelare di alcuni disabili, si accorse della loro deportazione. Fece denuncia per omicidio e si oppose al suo ritiro nonostante la richiesta del Ministero. Non fu deportato in un campo di concentramento, ma licenziato. Ebbe poi una pensione. Nel Dopoguerra non volle tornare in Magistratura, tra colleghi che, iscrivendosi all'albo dei giuristi nazisti, si erano resi complici di Hitler». S'impegnò nella fondazione dell'associazione “Aktion Suhnezeichen”, nata per sostenere la riconciliazione coi paesi (Polonia e Ucraina su tutti), che avevano subito l'aggressione nazista.
Manuela Arca