Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Terra di frane e alluvioni,

Fonte: L'Unione Sarda
15 novembre 2017

Secondo la mappa dell'Istat un sardo su sei abita in zone pericolose Terra di frane e alluvioni,
ecco l'Isola che ha paura Ci sono 24.821 sardi, l'1,5 per cento dell'intera popolazione residente, che probabilmente senza neanche saperlo vivono in zone in cui il pericolo frane è “elevato” o “molto elevato”. E altri 56.556 le cui case sono state costruite in aree considerate a massimo rischio per le alluvioni. In tutto 81mila e 377 persone, che tutte assieme rappresenterebbero la terza città più popolosa dell'Isola dopo Cagliari e Sassari. La fotografia scattata dall'Istat alla Sardegna nella sua “Mappa dei rischi dei Comuni italiani” è impietosa. E ci ricorda - come se non bastassero le tante tragedie del passato anche recente - quanto sia fragile e vulnerabile dal punto di vista idrogeologico la nostra terra.
UN SARDO SU SEI A RISCHIO Dai dati messi a disposizione on line dall'Istituto di ricerca, che ha incrociato decine di indicatori, si scopre infatti che un sardo su sei (esattamente 264.879) vive in aree dove esiste il rischio di un evento alluvionale. Stando invece al report dell'Ispra, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, nella nostra Isola il 5,9 per cento della popolazione abita in paesi dove il pericolo alluvioni è di livello 2 su una scala di 3. Per capire invece quanto sia enorme il problema frane basti questo dato: per l'Ispra i Comuni sardi che hanno porzioni di territorio a rischio elevato o molto elevato sono 328 su 377, cioè l'87 per cento. E complessivamente sono ben 220.237 i nostri conterranei che abitano in Comuni grandi e piccoli dove la probabilità che uno smottamento metta a repentaglio la stabilità degli edifici non è tanto remota.
ALLUVIONI Ma quali sono le zone rosse? Per le alluvioni fanno paura i numeri relativi a Olbia, dove, stando all'Istat, un quarto dei residenti abita in zone a rischio elevato (13.891 su su 59.368 abitanti). E soprattutto quelli su Terralba, dove per la metà della popolazione - 5.550 abitanti su un totale di 10.265 - il livello di pericolo è massimo. A Capoterra invece, teatro nel 2008 di una devastante alluvione che provocò quattro morti, vivono in zona rossa ben 2620 cittadini su 22.479, mentre a San Vito è nella stessa situazione un terzo dei residenti. Altre aree critiche in Baronia, soprattutto a Galtellì e Orosei, nel Campidano e nel Sulcis Iglesiente.
FRANE In Ogliastra l'emergenza principale sembra invece quella delle frane e a impressionare è il dato relativo al piccolo paese di Ussassai in cui tutti i 575 residenti vivono in aree considerate a rischio elevato o molto elevato. Nella vicina Villagrande, dove nel 2004 la furia delle acque e le omissioni dell'uomo seminarono morte e distruzione, il pericolo frane riguarda invece 849 residenti su un totale di 3282. Ma dal dissesto idrogeologico non sono immuni neanche i centri più grandi: a Sassari 2.524 abitanti su 127.525 convivono con un pericolo elevato o molto elevato di frane, a Nuoro 1959 su 37.091, mentre a Sennori e Castelsardo - per citare solo altri due casi tra i tanti - la percentuale della popolazione a rischio è del 10 per cento.
L'ESPERTO «Sono dati che ci confermano che viviamo in una terra estremamente fragile - spiega Antonio Franco Fadda, geologo ed ex presidente dell'ordine regionale -, anche se poi i disastri sono sempre accaduti dove non c'è stata mai alcuna prevenzione, come a Capoterra, Olbia o Villagrande». Tragedie che qualcosa hanno insegnato, anche se ancora non basta. «In questi anni c'è certamente una maggiore attenzione - conferma Fadda -, ma siamo ancora indietro. Manca una cultura idrogeologica e questo, soprattutto in passato, ha fatto danni enormi. Un esempio? Quando nove anni fa a Frutti d'Oro 2 arrivò l'onda di piena trovò le ville a ostruirle la strada verso il mare, cosa che invece non accadde a Frutti d'Oro 1 dove era stato previsto il pericolo e infatti i danni furono minori. Oggi il problema, gigantesco, è come eliminare o perlomeno mitigare il rischio idrogeologico in porzioni di territorio vastissime. E c'è una sola strada: programmare e affrontarlo in maniera organica e complessiva». Senza perdere altro tempo.
Massimo Ledda