Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Un’Italia misteriosa e stracciona negli scatti di Comencini

Fonte: La Nuova Sardegna
18 giugno 2009

GIOVEDÌ, 18 GIUGNO 2009

Pagina 35 - Cultura e Spettacoli







di Gianni Olla
CAGLIARI. «Appunti di un cineasta: Luigi Comencini fotografo. 1945-1948». Con questo titolo, a partire da domani (inaugurazione alle 20), sarà esposta al Teatro Civico di Castello, una mostra che comprende 52 scatti, prevalentemente milanesi (città e campagne, ma con qualche fuoriuscita fino a Venezia), che appartengono alla prima stagione artistica del regista. In concomitanza della mostra, che verrà inaugurata dalla figlia scenografa Paola Comencini, curatrice del catalogo con il quale è stata già presentata a Locarno e a Milano, è stata organizzata una mini retrospettiva che si svolgerà tra lo stesso Teatro Civico e il salone della Cineteca sarda della Società Umanitaria, ente che, assieme all’assessorato alla Cultura del Comune di Cagliari ha promosso l’iniziativa.
Per capire il senso di quest’esposizione, si può legare il film che aprirà la rassegna, «Proibito rubare» (1948), ovvero il lungometraggio d’esordio, alle fotografie. L’esplicito «neorealismo» povero, dedicato ad una difficile rinascita tra le macerie della guerra, ha come soggetti privilegiati proprio i bambini. E il film, che viene girato dopo un documentario molto famoso, «Bambini in città» (in programma il 26 giugno alla Cineteca, alle ore 20.15, assieme a «Il museo dei sogni» e «L’ospedale del delitto»), è la storia di un missionario (un giovanissimo Adolfo Celi) che, invece d’imbarcarsi per il Kenia, decide di lavorare tra i vicoli di Napoli, insieme agli scugnizzi, seguendo l’immaginario, anche cinematografico, di padre Flanagan/Spencer Tracy ne «La città dei ragazzi».
Ma la passione fototografica aveva radici più lontane. Comencini, fondatore della Cineteca italiana nel 1941 assieme ad Alberto Lattauda, fu certamente influenzato dall’amico e sodale, che proprio in quegli anni aveva fondato una rivista di fotografia, Occhio quadrato, tollerata ma non amata dal regime fascista, che raccontava l’Italia minore. Quell’Italia minore, realistica appunto, diventerà maggiore per almeno i primi dieci anni del dopoguerra: casali sparsi nella campagna, lavoratori in mezzo a balle di lana e cotone, folle misteriose e tristi, venditori di vestiti, uomini che sembrano gauchos messicani, povere botteghe di città, ritratti femminili improntanti ad una malinconia esistenziale (ed è forse solo povertà), file in bottega, ma soprattutto la bellissima immagine - casuale o studiata che fosse - di quei gradi militari che spuntano fuori, come una sorta di focalizzatore, nella foto di un personaggio che si nasconde dietro la tenda. Basta una sola immagine a racchiudere il senso di tutta la serie: la guerra appena conclusa.
Insomma, il realismo di Comencini resta più poetico che politico, ed è questo aspetto che spiega sia l’esordio «patetico» di «Bambini in città» e di «Proibito rubare», sia l’invenzione del neorealismo rosa con «Pane amore e fantasia» (1953), il primo grande successo del regista, che lo farà entrare di diritto tra i fondatori della «commedia italiana», prim’ancora che il termine avesse una qualsiasi codifica critica. Con questa fama, Comencini, venne chiamato anche in Germania a realizzare, nel 1959, proprio una commedia, «E questo lunedì mattina», storia di una rivolta quasi kafkiana - ma in mezzo c’è l’umorismo di Lubitsch e Wilder - da parte di un uomo qualunque, direttore di banca, abituato ad una vita di regolarità e di continuità. Dato per disperso e non molto considerato, il film è ricomparso quest’anno al Festival di Locarno: quella di Cagliari, in programma il 24 giugno alla Cineteca Sarda, è appunto la seconda proiezione italiana.
Comencini si ricorderà dell’esperienza tedesca tracciando, nel 1963, il ritratto del zelante e «sconfitto» poliziotto in «Il commissario», altro film misconosciuto e poco apprezzato che verrà riproposto il 10 luglio, in chiusura di rassegna, al Teatro Civico di Castello. Aggiungiamo altri due titoli, «A cavallo della tigre» (1961) e «La ragazza di Bube» (1963) - il primo il 3 luglio al Teatro Civico di Castello, il secondo in Cineteca l’8 luglio - che riguardano ancora una volta personaggi ai margini, e avremmo un quadro, certamente incompleto, delle predilezioni realiste del regista, anche nei contesti apparentemente leggeri della commedia.
Così, se si dovesse costruire un parallelo tra le caratteristiche essenziali dei numerosi esordienti di quell’epoca, il regista più vicino a Comencini sarebbe sicuramente il Fellini di «Luci del varietà», «Lo sceicco bianco», «I vitelloni», «La strada», «Il bidone», «Le notti di Cabiria». La differenza, almeno fino alla grande svolta storica di «Tutti a casa» (1960) - in programma giovedì 25 al Teatro Civico di Castello con inizio alle 21.30 - sta in una maggior secchezza delle storie e dei personaggi, abbastanza affini a quelle figure, ancora ammantate di mistero, che compaiono nelle fotografie. Una secchezza che, in un film quasi misconosciuto, «La valigia dei sogni» (1º luglio, Cineteca Sarda, ore 20,15), si mescola appunto all’affannata ricerca dei personaggi che hanno popolato altre immagini di celluloide, quelle del cinema muto. Forse l’unico vero film autobiografico che si rifaceva alla sua prima esperienza di «raccoglitore di pellicole».