Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Il rullino segreto del sergente morto e rinato in guerra

Fonte: L'Unione Sarda
8 giugno 2009

mostre Per “España mi ventura”



Nel gennaio del 1937, arrivando in Spagna insieme ad altre migliaia di volontari di Mussolini, il salernitano Alfonso Covone forse non immaginava fino in fondo i lutti e le devastazioni cui gli sarebbe toccato di assistere, nel bel mezzo di una guerra civile violenta e sanguinosa. E invece i tre anni che trascorse al fronte, in terra iberica, furono pieni di «momenti difficili» e dolorosi, attimi di cui in seguito il sergente non volle parlare più neppure in famiglia, con il figlio Gianni. Le uniche testimoni di quel periodo rimasero le fotografie scattate e poi gelosamente custodite in un cassetto della sua scrivania.
Istantanee che col tempo sarebbero potute andare perdute e che invece ora, grazie al lavoro svolto dall'assessore alla Cultura del comune di Cagliari Giorgio Pellegrini, sono esposte nella mostra dal titolo “España mi ventura”, allestita nelle sale del Teatro civico di Castello.
L'esposizione (visitabile tutti i giorni dalle 10 alle 13 e dalle 17 alle 20 fino al 17 giugno) è dunque un'occasione preziosa per conoscere meglio, grazie alle foto scattate da Covone (poco più di sessanta, di piccolo formato e in bianco e nero), un conflitto la cui fine quest'anno compie il suo settantesimo anniversario e di cui molti sanno poco e niente. Perché in quella sorta di breve taccuino per immagini c'è tutto quello che della guerra civile spagnola va conosciuto e raccontato.
C'è la mobilitazione delle masse durante la dittatura, negli scatti che ritraggono il generale Franco che scende dalla sua limousine e saluta le folle. C'è la violenza dei bombardamenti, nelle immagini che mostrano Guernica devastata e i resti dell'Alcazar di Toledo. E poi ci sono tutti gli uomini e le donne di quella lotta fratricida: i militari che a Burgos combattono al fianco di Covone, le donne che lavorano sul campo come volontarie e infermiere, ma anche i contadini e le altre comparse di una guerra comunque brutale. Vista e raccontata, per una volta, non dalla parte repubblicana ma da quella favorevole al regime franchista, che combatteva e moriva per un altro ideale.
Escono così alla luce le tante immagini che il sergente Covone ha portato dentro di sé per tutta la vita, anche dopo il suo approdo in Sardegna, nel 1943, al seguito del duecentesimo battaglione carri “Somua”. Nella nostra isola il militare fotografo ha incontrato la moglie Lidia e vissuto sessant'anni della sua vita, ma non ne ha mai imparato il dialetto. Proprio lui che in soli tre anni aveva invece perfettamente appreso il castigliano. «Come è stato possibile?», si chiede il figlio Gianni nella prefazione al catalogo della mostra. E subito, vedendo le foto del padre, trova la risposta proprio in quei trenta mesi di Spagna, pieni di momenti difficili, tra Burgos, Madrid e «soprattutto Guadalajara, con le trincee scavate nella neve e rosse di sangue, anche del suo».
«Ora quei suoi brevi passaggi li leggo in tutta la loro drammaticità», scrive Covone, «ora capisco perché le donne che ha conosciuto in Spagna rappresentavano per lui il senso della vita. [...] Ora entiendo perché ha imparato a parlare spagnolo in modo quasi perfetto e desiderava che anch'io lo apprendessi: lì è morto e lì è rinato».
LORENZO MANUNZA

07/06/2009