Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Leggendo Metropolitano

Fonte: L'Unione Sarda
12 giugno 2017

Leggendo Metropolitano La scrittice Elena Loewenthal oggi alle 18,30 al Teatro Civico «Il “giorno della memoria”
non appartiene agli ebrei»

F iglia di genitori sopravvissuti alla Shoah, scrittrice ed esperta di ebraismo, dal 2015 addetta culturale all'ambasciata italiana di Israele, Elena Loewenthal (Torino 1960) è autrice di un pamphlet dal titolo provocatorio: “Contro il giorno della memoria” (Add editore). Ospite del festival Leggendo Metropolitano (stasera, 18.30, Teatro civico di Castello) spiegherà le ragioni di una disapprovazione inattesa e polemica.
Perché contesta la ricorrenza del 27 gennaio e la modalità con cui viene vissuta in Italia?
«La Shoah è di tutti fuorché degli ebrei. Loro non vi hanno partecipato, hanno solo messo i morti. La storia dello sterminio è invece europea. La ricorrenza avrebbe senso se i Paesi che sono stati complici o testimoni indifferenti di quanto accaduto (i treni carichi di uomini viaggiavano sulla rete ferroviaria europea e si fermavano nelle sue stazioni), riconoscessero quella pagina della storia come propria. Non invoco il senso di colpa, ma la consapevolezza. Avrebbe senso, per esempio, se gli italiani dichiarassero l'orrore delle leggi razziali. Invece è accaduto che, attraverso un processo progressivo di dismissione la Giornata della memoria si sia trasformata da ricorrenza dell'Europa a ricorrenza in cui l'Europa rende omaggio agli ebrei. Di più: capita che - in coincidenza con l'appuntamento - si registrino sui social montate di antisemitismo».
Quando ha avvertito il sentimento di rifiuto che è all'origine del pamphlet?
«Ho inizialmente sostenuto l'istituzione della Giornata della memoria. Ho poi scoperto, di anno in anno, invitata nelle scuole a parlare dell'Olocausto, un senso di disagio profondo. Ho provato a ragionare sulle cause, a interrogarmi. Il libro è la risposta. Una provocazione per aiutare me stessa a capire. Sono figlia di genitori che hanno attraversato la Shoah: mio padre è fuggito sulle montagne e si è fatto partigiano, mia madre è stata nascosta per scampare alla persecuzione, una parte della famiglia è stata deportata. Vivo quotidianamente la memoria dello sterminio. Le menti e i cuori di chi è sopravvissuto, ma anche di chi come me è nato dopo, ne sono stati intaccati in maniera profonda e insanabile. Personalmente mi piacerebbe dimenticare, annegare il ricordo nell'oblio. La Shoah non è parte della mia identità. L'identità ebraica è positiva. E invece l'Olocausto è diventato una tara, un orrore che si dà per ineluttabile».
Mentre ineluttabile non è.
«Non doveva accadere e poteva non succedere. Ho scritto un romanzo dieci anni fa. S'intitola “Conta le stelle se puoi”. Ricostruisco la storia di una famiglia ebraica piemontese, rimuovendo la Shoah. Faccio morire Mussolini e quindi cancello le leggi razziali. È un atto di giustizia che ho voluto rendere ai miei avi».
Quando è stata investita della dolorosa memoria familiare?
«Sono nata negli anni '60. Ho vissuto un'infanzia ovattata e positiva, solare, piena di futuro. Non ricordo se si parlasse, non posso neanche dire ci sia stato un momento folgorante e quando abbia iniziato a indagare su chi fossi. La certezza che ho maturato, io che sono così vicina a quella storia, che non potremo mai capire cosa hanno provato coloro che erano condannati allo sterminio, che non riusciremo mai a porci nei panni di un bambino ebreo. Dobbiamo smettere di illuderci di capire».
Attribuisce la stessa vacua ritualità ai viaggi nei luoghi dell'orrore?
«Non so rendere una risposta categorica. Se una gita ad Auschwitz manda il cuore in gola a uno soltanto dei ragazzini della comitiva, serve. La partecipazione emotiva è strumento di comprensione. Non si trascuri o subordini tuttavia, la funzione delle parole della memoria al valore rappresentativo dei luoghi. Ci si misuri con “Se questo è un uomo” di Primo Levi! Si legge poco, invece. E spesso si danno agli studenti surrogati della lettura: la gita, il monumento, il rito, il concerto. L'unico concerto della memoria possibile è quello che si celebra in Israele nel giorno dell'anniversario della rivolta degli ebrei del Ghetto di Varsavia. Il momento culminante sono due minuti filati di sirena. Un'esperienza inenarrabile che trafigge e taglia in due».
Manuela Arca