Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Leggendo Metropolitano L'ex coach della Dinamo Sacchetti si racconta in un libro

Fonte: L'Unione Sarda
12 giugno 2017

Leggendo Metropolitano L'ex coach della Dinamo Sacchetti si racconta in un libro La lezione di vita di Meo:
«Credici, nulla è impossibile»

« N iente è impossibile. La mia storia è qui a dimostrarlo»: sono le parole, tanto più forti quanto più vere, che ci regala prima dei saluti Meo Sacchetti, lo storico allenatore dello scudetto della Dinamo Sassari, ieri insieme a Nando Mura, una delle firme sportive più note dell'Unione Sarda. Ieri sera, intervistati dal giornalista Vito Biolchini, hanno chiuso nel migliore dei modi la nona edizione del festival di letteratura Leggendo Metropolitano, ai Giardini Pubblici di Cagliari.
La storia di Meo Sacchetti ha un inizio fra i più difficili, in Puglia, nel campo profughi di Altamura; i genitori ritornavano dalla Romania, dove erano emigrati in cerca di lavoro; non bastasse, resterà orfano di padre a pochi mesi. Dopo, verrà il trasferimento in Piemonte e la scoperta del basket, la gavetta, e un'ascesa che lo porta a vincere la medaglia d'argento alle Olimpiadi di Mosca e il titolo europeo in Francia nel 1983.
Tutto questo è raccontato nella sua autobiografia, “Il mio basket è di chi lo gioca”, scritta in collaborazione con Nando Mura. «Ho pensato subito a lui, quando la casa editrice me l'ha proposto», dice Sacchetti. «Del resto siamo coetanei, amiamo il basket e nessuno dei due voleva scrivere un libro autocelebrativo», aggiunge il giornalista. Sacchetti, un uomo che ama parlare con i fatti, sin dal titolo ha scelto di mettere in primo piano i giocatori: «Volevo che liberassero la mente e che conservassero il senso ludico dello sport; lavoro duro, certo, ma riserviamo la tensione per altri problemi della vita». Gli chiediamo allora quel è stato il ricordo più bello: «La vittoria della prima Coppa Italia, nel 2014, mentre guardavo i miei ragazzi esultare».
È d'obbligo parlare dell'epopea della Dinamo: «Le vittorie in Coppa erano state elogiate, ma si trattava di eventi singoli, nessuno pensava che avremmo potuto conquistare un campionato. Nello sport succede che non sempre i più forti sulla carta vincano». Lo sport permette anche di appianare storiche rivalità interne. Continua a raccontare Sacchetti: «Una volta all'aeroporto di Cagliari si sono avvicinati due ragazzi per dirmi: “Lei è riuscito a fare qualcosa che nessuno aveva mai fatto prima, unire Sassari e Cagliari nel tifo di un'unica squadra”».
«Ci sentivamo una “banda di pirati”, anziché quattro eravamo i cinque Mori, quando si schierava in campo il quintetto con i giocatori di colore». «Nella serie di partite della finale scudetto, per il fatto che la Dinamo aveva più giocatori stranieri, tutto l'ambiente del basket italiano sembrava sostenere Reggio Emilia», ricorda Mura. «I nostri italiani nella rosa erano i più felici per la vittoria: giocavano a Sassari da anni, avevano seguìto l'impresa un passo dopo l'altro». «E fra loro c'era anche tuo figlio». «Ero felice sia come padre che come allenatore».
Emoziona veder parlare due uomini legati dallo sport e da una profonda amicizia. Viene da chiedersi quali siano le qualità che il basket riesce a trasmettere. Racconta Mura: «Dopo la vittoria dello scudetto i giocatori, per prima cosa, hanno consolato gli avversari; poi hanno festeggiato sul posto, a Reggio Emilia, dove si disputava la partita decisiva. La Juventus festeggerebbe mai a Firenze?».
Inevitabile parlare con Sacchetti anche dell'esonero nella stagione che seguì il trionfo, e un possibile ritorno ad allenare la Dinamo. «Sì», risponde sicuro «ma sarebbe difficile con questo presidente».
A ben guardare però il mister non ha mai lasciato l'Isola. «Ho preso casa ad Alghero, produco olio e ho una splendida pianta di mirto». «Sei il quarto personaggio celebre che arriva in Sardegna e sceglie di restare», gli rammenta Mura, «gli altri tre sono Gigi Riva, De André e… Garibaldi».
Ma Sacchetti ritorna a parlare dei giovani: «Non mollare mai, non accontentarsi, non cedere quando ti criticano, non adagiarsi sul talento». Perché? Semplice, perché se ci credi davvero, «niente è impossibile».
Luca Mirarchi