Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Tajani: «Un patto per la Sardegna»

Fonte: L'Unione Sarda
10 aprile 2017

Tajani: «Un patto
per la Sardegna»

«Gli sviluppi della crisi in Siria e l'attentato di Stoccolma mettono l'Europa davanti a due grandi responsabilità: impedire l'escalation di violenza ed essere protagonista di pace anche stabilizzando l'area del Mediterraneo».
Il presidente del parlamento europeo Antonio Tajani arriva oggi in Sardegna per una serie di incontri istituzionali all'indomani di due fatti che mettono a rischio la stabilità mondiale e minano la sempre più fragile unione politica europea. Sa che la situazione rischia di precipitare e che il ruolo dell'istituzione europea è a rischio: il terrorismo e le guerre possono destabilizzarla o rafforzarla. E sa che per combattere la battaglia serve unità: «Se non saremo uniti e coesi in questa partita non andremo da nessuna parte».
Eletto tre mesi fa ai vertici dell'Europarlamento dopo una carriera europea di alto profilo tra Bruxelles e Strasburgo, Tajani questa mattina incontrerà il sindaco di Cagliari Massimo Zedda e terrà una lectio magistralis nell'Aula magna della facoltà di Studi umanistici dell'università del capoluogo. Nel pomeriggio dialogherà con i vertici e con la redazione dell'Unione Sarda e infine nella sede di Confindustria presiederà un vertice con le associazioni di categoria.
Ieri il terrore ha colpito la Svezia dimostrando, se ancora ce ne fosse bisogno, che non ha confini e che non ci sono paesi immuni.
«Il portavoce dell'Isis ha ordinato di colpire in Europa, non c'è un paese immune. In Svezia il 10% della popolazione è di origine extraeuropea, non è impossibile radicalizzarne qualcuno».
Questo significa che arriveranno anche in Italia, Paese finora indenne dai grandi attentati.
«Ricordiamo che la settimana scorsa è stato sventato un attentato a Venezia. Significa che la prevenzione da noi funziona e spero che funzioni a lungo».
I bombardamenti con le armi chimiche in Siria e la dura risposta degli Usa hanno rimesso in crisi gli equilibri mondiali e i rapporti tra Usa e Russia e tra la Russia e l'Europa, che ha giustificato l'azione dell'amministrazione Trump.
«Con l'attacco chimico si è superata la linea rossa della tolleranza, ora dobbiamo fermare l'escalation e costruire una pace duratura. Abbiamo l'interesse che ci sia stabilità nell'area del Mediterraneo e abbiamo il dovere di avviare tutte le iniziative possibili dentro l'Unione europea e con le Nazioni unite. Dobbiamo provare la nostra capacità di essere protagonisti di questi processi che abbiamo sancito anche nel patto firmato a fine marzo a Roma in occasione del 60° anniversario della creazione della Comunità».
Parliamo della Sardegna: il declino industriale è stato il peggiore del Mezzogiorno e si fatica a costruire alternative economiche. Lei ha messo una nuova politica industriale al centro della sua azione politica.
«Esatto. Occorre ricostruire una base industriale in Sardegna che favorisca l'innovazione, l'export, l'occupazione e la crescita».
In che modo?
«Utilizzando bene i fondi europei in sinergia con il Piano Juncker, ma anche i prestiti della Banca europea per gli investimenti».
La Sardegna non li ha utilizzati bene?
«Purtroppo i risultati sono stati inferiori a quelli ottenuti in altre aree quali Spagna, Irlanda o alcuni paesi dell'Europa centrale e orientale, anche se va detto che la Sardegna ha speso i fondi meglio della media del Meridione».
Ma per rilanciare l'industria non si può prescindere dagli squilibri energetici e infrastrutturali.
«Concordo sul fatto che occorra pensare a strumenti per garantire tariffe energetiche competitive e equilibrate e che serva un sistema di infrastrutture e trasporti che rafforzi la presenza dell'industria sul territorio. Tra il Sulcis, Ottana e Porto Torres si concentra un indotto potenziale di cinquemila lavoratori. Casi come Alcoa, come la Vesuvius ci dicono che bisogna ridisegnare un nuovo modello di sviluppo industriale senza rinunciare a politiche attive del lavoro e ad ammortizzatori sociali».
Di che tipo di industria parla?
«Di turismo di qualità, legato alle industrie culturali e creative, anche per far fronte alla stagionalità. Di logistica, energie pulite, tecnologie per l'efficentemento di energia e acqua. Sono punti di forza della Sardegna e vanno valorizzati anche investendo di più e meglio su formazione, management, ricerca e sviluppo».
Dimentica le infrastrutture.
«Serve un grande sforzo ma anche per quelle immateriali: per recuperare il divario con il resto d'Europa servono la banda larga, la digitalizzazione dell'economia e della pubblica amministrazione. Più musei digitali, siti archeologici con la realtà aumentata».
La Sardegna può essere inserita tra le regioni ultraperiferiche d'Europa e godere di ulteriori finanziamenti europei?
«Lo escludo, la Sardegna non è una regione ultraperiferica».
Però ha gli svantaggi dell'insularità, ancora non riconosciuti dall'Unione europea.
«Lo scorso anno è stato fatto un passo avanti storico grazie alla grande battaglia a livello europeo del collega ed eurodeputato Salvatore Cicu. Un traguardo sostenuto e approvato dal Parlamento europeo, con una rivendicazione importante: la reale applicazione dell'articolo 174 e una rivisitazione dei criteri del Pil, in modo da disegnare in termini attuali la reale situazione occupazionale ed economica della Sardegna. Insularità significa nuove condizioni sul capitolo trasporti, energia e assegnazione delle risorse a livello europeo. Sono convinto che a 60 anni dal Trattato di Roma serva un Patto europeo per il sud e le isole».
A proposito di trasporti: il Pil turistico incide solo per il 6% su quello totale dell'Isola anche a causa di un sistema di trasporti costoso e non sempre efficiente. Un sistema condizionato anche dalle regole europee.
«Una eventuale revisione delle norme sugli aiuti di Stato per alcune compagnie di trasporto va inquadrato nel tema generale dell'insularità. Ma sono certo che si possano portare più turisti nel nostro Paese e anche in Sardegna».
Su questo sono tutti concordi, qual è la ragione per cui questo non è accaduto?
«Perché a mio avviso finora la politica dei trasporti è stata finalizzata a trasportare passeggeri su tratte interne e non turisti. Bisogna cambiare punto di vista e strategie e migliorare la capacità di valorizzare meglio i nostri gioielli. Mi chiedo: se a New York avessero un nuraghe che cosa farebbero?».
È anche vero che le regole della concorrenza europee sono inadeguate e penalizzanti.
«Concordo, molte sono regole concepite negli anni '50 e sono nate per il mercato europeo. Ma oggi noi dobbiamo competere a livello globale e per questo dobbiamo cambiarle evitando il paradosso di penalizzare la concorrenza mondale per difendere quella interna».
Che cosa pensa della battaglia sulle cosiddette etichette a semaforo? Secondo Coldiretti la norma metterebbe a rischio il 60% dei prodotti locali.
«Il sistema dei cosiddetti semafori non è né obiettivo né fondato su dati scientifici affidabili. Rappresenta una distorsione delle regole del mercato interno per cui è in corso una procedura di infrazione da parte della Commissione europea».