Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

L'eco della festa e l'incanto dei costumi

Fonte: L'Unione Sarda
21 maggio 2009


Folla al Bastione Saint Remy per Gran Galà e mostra fotografica

Millecinquecento persone hanno partecipato all'inaugurazione della mostra sui costumi organizzata da L'Unione Sarda.
E ora, spente le luci del Gran Galà sulla terrazza del bastione di Saint Remy, a Cagliari, sfumati gli applausi per la voce pop di Marco Carta, quella sardissima di Maria Giovanna Cherchi, quella esotica (tra fado e flamenco) di Franca Masu e quella del cantautore isolano per eccellenza, Piero Marras, l'emozione per le belle parole (e il magnifico viso) di Caterina Murino («quando all'estero mi chiedono di dove sono, mi sento fiera di dire che sono sarda: perché io sono la Sardegna, tutti noi siamo questa terra»), le risate per le gag di Benito Urgu, resta l'incanto dei costumi. Quelli di Bitti, Sinnai, Sennori, Ovodda, Bono, Villagrande Strisaili, Busachi, Iglesias, Ittiri, e ancora Aritzo, Osilo, Maracalagonis, Dorgali, Samugheo, Atzara, Tertenia, Nule, Orani, Meana Sardo, Lodine, San Vero Milis, Lotzorai, Cargeghe, Iglesias, indossati sia dalle ragazze e dai ragazzi dei rispettivi gruppi folk che da modelle professioniste, hanno avuto l'onore della sfilata sulla passerella, davanti alle telecamere di Videolina, martedì sera.
L'OPERA Per tutti gli altri Comuni (e sono 277, in Sardegna) c'è l'enciclopedia “Costumi e gioielli della Sardegna” de L'Unione Sarda: primo volume (240 pagine e centinaia di immagini a colori per i primi 25 Comuni in ordine alfabetico) in edicola sabato, in omaggio, in allegato col quotidiano; gli altri quindici in uscita ogni sabato per tutta l'estate. Un'opera collettiva: «Non saremmo riusciti a completare il lavoro - giura la curatrice, Ambra Pintore - senza l'adesione entusiasta di tante persone che hanno letteralmente svuotato le cassapanche di famiglia o coinvolto i vicini di casa pur di tirare fuori costumi che, spesso, non erano mai stati fotografati».
LA MOSTRA Nel frattempo, fino a mercoledì prossimo, alla Passeggiata coperta del bastione resta allestita la mostra delle foto realizzate da Adriano Mauri e Max Solinas per l'opera: cento immagini stampate su formato un metro per 70 centimetri, sedici totem con i ritratti dei testimonial dell'iniziativa editoriale e due schermi su cui passano altre 400 foto. All'inaugurazione c'è stato un boom di visitatori: oltre 1.500 le persone che (di martedì sera) hanno lasciato la loro firma sul libro delle presenze. Un percorso innovativo attraverso i colori, i tessuti, le forme del vestire che una tradizione plurisecolare ha traghettato fino a questo Terzo millennio. Una tradizione che per i viaggiatori, da sempre, è un'ubriacante esplosione di colori da Mille e una Notte, ma per gli isolani è emozione, deposito di memorie, ricordi d'infanzia, eredità ricevuta da genitori, nonni e antenati, una tradizione che interroga i sardi di oggi, ovviamente, costringendoli ancora una volta a fare i conti con il nodo irrisolto (irrisolvibile?) dell'identità: chi siamo noi, con questo lascito di vestiti della festa e di tutti i giorni, corpetti da contadini e scialli da nobildonne, veli del lutto e delle nozze, bracciali forgiati un secolo fa ma che sembrano venire dritti da un medioevo barbarico e mediterraneo? Siamo questi volti di vecchi e vecchie scavati dal sole e dal vento o, invece, questi corpi giovani, belli, alti e levigati?
DETTAGLI La mostra è unitaria, ma al suo interno si possono individuare tre percorsi distinti. Partiamo da quello più astratto, articolato nei venticinque scatti dedicati da Adriano Mauri ai dettagli dei costumi: ovviamente nasce dall'esigenza documentaristica di evidenziare, paese per paese, le peculiarità che distinguono il costume dagli altri. Tecnicamente sono degli still life , ovvero scatti che isolano l'oggetto su uno sfondo neutro in modo che viva di vita propria. Il risultato, in qualche caso, raggiunge un astrattismo morbido. Sono spille, bottoni, bracciali, anelli, decorazioni, plissettature: capolavori di maestria, ogni punto di cucitura come traccia di un gesto perfetto, di una cura che stupisce e meraviglia e che è un'attribuzione assoluta di valore. C'è un dettaglio della decorazione sulla manica di un giacchino di Ittiri, un'alternanza di punti di cucitura e perline: ha il ritmo di un Mondrian, ma la geometria non è astratta o fredda, bensì giocosa, affettuosa. Chi ha decorato quel giacchino amava certamente la sposa che l'avrebbe indossato. In questi scatti, Adriano Mauri utilizza un'ottica basculante che permette di mettere a fuoco un punto preciso dell'oggetto lasciando sfuocato il resto: su quel punto è richiamata l'attenzione dello sguardo dello spettatore.
RITRATTI La stessa tecnica si ritrova nei ritratti firmati dal fotografo, parte in bianco e nero e parte a colori: serve, insieme all'uso sapiente delle ombre, a condurre uno scavo psicologico sul soggetto, esaltandone e portandone in superficie l'intimità: dalla macchina di Mauri escono esseri umani che interrogano se stessi e lo spettatore, rivolgono domande, invitano al dialogo. O scherzano: come il vecchio col costume di Serdiana che si tira la barba bianca e patriarcale, o l'uomo di Ovodda che rivolge al visitatore uno sguardo ironico, smagato, divertito. Incantano, anche: come la ragazza di Escalaplano che ci guarda, velata e immersa in un'opalescenza Vermeer.
EROS E IRONIA Il riferimento pittorico è costante nelle fotografie costruite da Max Solinas, veri e propri tableaux vivants . I suoi metodi, e qui sta il gioco che rende intrigante la mostra, sono opposti a quelli del collega. Sui volti delle sue donne, la luce non scava: splende. Gli sguardi non cercano: seducono. I corpi, illanguiditi nelle pose (prima ancora: nell'attitudine) dei servizi di moda si dispongono nello spazio secondo schemi prelevati dalla storia dell'arte: i modelli che indossano solo gli indumenti intimi del costume di Quartu Sant'Elena seguono quello delle Madonne con bambino medievali, con Maria e Gesù al centro e gli angeli attorno e ai piedi del trono. E via via ritroviamo Colazioni sull'erba, Pietà, Vedove dolenti (o gaudenti?) che emergono dal fondo di una Spagna nero Goya. Spesso i modelli giocano ironicamente con gli sfondi, che non sono mai neutri: fiori coloratissimi, vecchie stampe, frammenti di altre fotografie, altri quadri. I volti più vissuti vengono sottolineati da luci taglienti, ma sono gli sfondi a teatralizzare il dramma: il pastore di Sinnai con un collare di lana grezza è Calibano che irrompe sulla scena, non un diavolo che fa paura davvero. Il vecchio di Serdiana è un patriarca, ma il raggio divino nel cielo alle sue spalle dice: si scherza. Sono immagini irriverenti, maliziosamente in bilico fra eros e ironia, molto distanti da quelle cui s'è abituati ad associare l'abito etnico: il linguaggio è quello della foto di moda, la sfida audace.
MARCO NOCE

21/05/2009