Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Al Lirico un “Trovatore” intenso e notturno

Fonte: La Nuova Sardegna
19 dicembre 2016

 


Il capolavoro di Giuseppe Verdi nell’allestimento di Stefano Poda ha chiuso la stagione operistica cagliaritana


di Gabriele Balloi
 

CAGLIARI. Scende il sipario, al Teatro Lirico, sulla Stagione operistica 2016. Col “Trovatore” di Giuseppe Verdi andato in scena venerdì e replicato fino al 30 dicembre. Quasi factotum di questa nuova produzione, Stefano Poda ne firma infatti regia, scene, costumi e luci, ispirandosi a un proprio allestimento per il Teatro d’Erode Attico sull’Acropoli (Atene, 2012).
Il regista trentino realizza una mise-en-scène essenziale, quasi povera, e tuttavia densa di sottintesi culturali e semantici. Se “Il Trovatore” già di per sé è un’opera notturna e cupa, qua lo diviene all’ennesima potenza. Tutto è immerso in un’oscurità caliginosa. Oscurità dove imponenti fasci di luce s’introducono a più riprese. Sul palco, pochissimi elementi scenici: un’ampia piattaforma rotante grazie a cui, oltre ai protagonisti, orbitano un globo lunare e un’enorme granitica mano aperta, come caduta dal braccio di un colosso. Tutt’attorno una struttura architettonica da metà Novecento: paesaggio arcano, nell’insieme, che ha il sapore della pittura metafisica di De Chirico. Ma oltretutto s’innesta un fattore coreutico da tragedia greca, richiesto soprattutto alle masse corali che, come nel teatro antico di Eschilo o Euripide, devono cantar danzando (o quasi).
L’idea esteticamente più potente, perfino poetica, è quella del coro di donne (quarta scena al secondo atto), vestite di bianco rispetto al nero di tutto il restante cast, le quali per difendere Leonora la racchiudono come in un latteo bozzolo, le si stringono attorno formando una soffice nuvola d’alabastro, con quei costumi che paiono usciti dalla visionaria fantasia di Jean Giraud (alias Moebius). Proprio Leonora, impersonata da Daniela Schillaci, è la voce più apprezzabile di quest’edizione: tanto per fraseggi e colori in “Tacea la notte placida” quanto per trilli e gorgheggi su “Di tale amor”; o nelle sottilissime, languenti mezzevoci per “D’amor sull’ali rosee”.
Purtroppo, non altrettanto può dirsi per il Manrico di Marcello Giordani, sovente spinto, strozzato nella zona acuta e sovracuta, con troppi suoni rochi e legnosi. C’è un discreto Conte di Roberto Frontali, non perfetto, intendiamoci, con “legati” che sfiorano talvolta il “portamento”, acuti un po’ ingolfati, ma conserva perlomeno uno smalto vocale fiero e fervido. L’Azucena di Enkelejda Shkoza, giunonica e sanguigna, ha ottimo registro
centrale, “vibrato” un po’ fuori controllo in quello acuto e suoni cavernosissimi nel basso. Mentre Luca Dall’Amico è un Ferrando dignitoso, pur alcuni limiti.
Corretta, spigliata la direzione di Giampaolo Bisanti, benché da lui ci si aspettasse qualche guizzo interpretativo in più.