Rassegna Stampa

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Il dopo referendum, dal Pd non esce nessuno: al via la resa dei conti interna

Fonte: web sardiniapost.it
6 dicembre 2016

Il dopo referendum, dal Pd non esce nessuno: al via la resa dei conti interna

Non si contano fughe dal Pd, passate ventiquattro ore dalla sconfitta referendaria che ha travolto il Partito democratico, tanto in Sardegna quanto nel resto d’Italia. Anzi: proprio per il fatto che i dem hanno incassato alle urne una pesantissima batosta, la permanenza nel Pd garantisce una copertura almeno dagli attacchi esterni. Diverso il discorso sul fronte interno: la resa dei conti è più che mai scontata. E potrebbe cominciare già domani, quando al Nazareno è convocata la direzione nazionale su ordine del segretario Matteo Renzi, da ieri dimissionario da Palazzo Chigi (ma l’addio resta congelato sino all’approvazione della Legge di stabilità). Stando a quanto filtra dalla componente sarda del premier, Renzi ha archiviato l’idea di costituire una propria forza politica federata attraverso i “comitati Adesso”, ipotesi rimbalzata sulla stampa nazionale durante la campagna referendaria. la tentazione c’era. Ma dando forma a un personale movimento, Renzi applicherebbe quel correntismo che ha sempre duramente combattuto.

Nel contesto isolano la situazione è ancora più complicata: da novembre il Pd lo governa Gianni Dal Moro, il garante mandato da Roma per gestire il referendum e il congresso, fissato per il 26 febbraio 2017. Dal Moro l’aveva intuito già nella sua uscita pubblica, a Tramatza il 7 novembre scorso, che la modifica della Costituzione sarebbe diventata in Sardegna un grimaldello a uso e consumo delle diverse correnti interne, per dividere ancora di più il partito. E così è stato.

“Non vedo entusiasmo“, aveva detto il garante un mese fa, chiedendo per il referendum un porta a porta che, a vedere il risultato delle urne, non ha dato frutti: il Pd sardo ha incassato la peggiore sconfitta d’Italia, col No al 72,22 per cento. Dal Moro non parla: non oggi almeno. Il suo telefono squilla a vuoto e di sicuro il garante non vuole correre il rischio di sbilanciarsi prima di aver sentito la relazione del proprio segretario.

La strategia del silenzio accomuna tutte le correnti che, almeno ufficialmente, hanno sostenuto la modica delle Costituzione. Cioè i renziani della prima ora guidati dal consigliere regionale Gavino Manca; la componente di Renato Soru; l’area popolare-riformista di Antonello Cabras e Paolo Fadda; gli ex Ds capeggiati da Ignazio Angioni e in parte vicini al presidente nazionale Matteo Orfini. Il tatticismo è evidente, specie se si considera che il Pd sardo si sta avvicinando al congresso: fughe in avanti e carte scoperte sembrano essere bandite.

Gli unici che parlano sono, guarda a caso, i pochi, tra i democratici sardi, che hanno dichiarato pubblicamente di aver scelto il No. Su tutti Yuri Marcialias, l’assessore allo Sport del Comune di Cagliari, che si è schierato da subito contro la riforma Renzi-Boschi. Con lui il consigliere Marco Benucci, altro cagliaritano, la segretaria cittadina di Orgosolo Franca Brotzu e l’ex sindaco di Ossi Pasquale Lubinu.

Marcialis ha pubblicato su Facebook una lunga nota. Si legge, tra le altre cose: “L’esito (del voto) è stato chiaro e inequivocabile, la riforma proposta non era quella che volevano gli italiani. Alle urne ha vinto la difesa della Costituzione, ma anche quella dei partiti quando questi si allontanino dagli interessi dei cittadini”. E ancora: “Il risultato mostra al mio Pd che la strada verso il partito della nazione è sbagliata”. Per Marcialis a livello nazionale, “c’è stato un buon 25-30 per cento di elettori Pd che ha votato No” e lo stesso “hanno fatto quanti hanno lasciato il partito negli ultimi anni a causa della perdita di rotta”.

Per l’assessore di Cagliari il 72,22 per cento di No raccolti nell’Isola è un messaggio “ancora più forte e chiaro, se si considera che era apertamente schierati per il Sì tutto il gruppo dirigente del Pd regionale, il presidente della Giunta, la Giunta, i consiglieri e tutti i parlamentari democratici”. Marcialis non ha richieste specifiche, oltre quelle politiche di circostanza. E aggiunge: “Il Pd deve riaprire il dialogo a sinistra e rivedere tutta la strategia che, tanto in Sardegna quando nel resto d’Italia, ci ha portato fin qui”.

E se Marcialis si può permettere il lusso di intestarsi un pezzo di vittoria, finora nel Pd, tra quanti erano schierati per il Sì, non ce n’è uno che si sia intestato la sconfitta. Questo la dice lunga sul fatto che pezzi di partito potrebbero scendere dal carro renziano, specie nei casi in cui ci si è saliti controvoglia. O per convenienza.

Al. Car.