Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Il pellegrinaggio con i fedeli verso Giorgino

Fonte: L'Unione Sarda
4 maggio 2009

In preghiera con il 105 bis


Sono arrivati qui come da accordi. Lui e il 105. Li chiamano così per legge, secondo il numero di registrazione, e l'uno non deve sapere il nome dell'altro. A Lui è spettato il 105 bis, per via del fatto che era legato a Lei (il 105) a filo doppio. Ora più che mai indissolubili. Sono qui come si erano promessi. Le sirene delle navi in porto hanno muggito a lungo, il cocchio si è lasciato alle spalle gli ultimi applausi di piazza Matteotti e loro si sono messi in coda dietro la statua di Sant'Efisio, un po' in silenzio, un po' in mesta preghiera. Martire guerriero dagli speranza, fede e carità , ha mormorato Lei. Concedile la Luce , ha balbettato Lui. E insieme hanno iniziato il pellegrinaggio verso Giorgino.
Nulla da lì in poi ha seguito più criteri di classe o di casta, perché il dolore è una livella e la grazia ricevuta o attesa accomuna il povero, che vorrebbe finalmente accomodarsi (almeno lì) alla destra del Padre, e il ricco che non vorrebbe restare incastrato nella cruna di un ago. Quando persino i carabinieri col pennacchio hanno salutato il corteo, e si sono fatti da parte sulle cavalcature austere, quando i fratelli e le sorelle della Confraternita si sono svestiti dei loro abiti da cerimonia all'ombra di viale La Playa (e l'orologio segnava le 2), anche lo spazio e il tempo hanno fatto deroga alle loro inflessibili regole. E la folla si è ridotta, mentre il Credo è salito. Seppur disordinato. Come ogni anno. E disarmonico.
Il cocchio ha iniziato a ondeggiare spinto dal vento che sempre soffia in quella lingua di mare che strappa la terra e diventa stagno, i fedeli hanno morsicato con avidità la prima aria fresca che non sapeva più di oli abbronzanti (dei festanti croceristi, benvenuti invasori) né di sterco di cavallo e vacca che ammorbavano la città. Le preghiere si sono levate al cielo, terso ma non rovente, dal Ponte della Scafa. Piccolo miracolo di primavera che il Santo concede a chi lo accompagna non solo nel tragitto festante ma anche in quello oltre le mura.
Il 105 bis ha sorriso a Lei, come dire: non ti preoccupare anche se sono un catorcio rabberciato con il filo e con il ferro, tagliato con l'acciaio e ricomposto strappando la carne con fatica e dolore, ce la farò . Sono solo pochi chilometri e se c'è la farà Gigia Frattaroli che ha una panza che sembra una palla da rugby ( sarà maschio , le hanno detto) ce la faranno tutti. A luglio il suo ventre darà finalmente alla luce Pietrino. Ed era cosa buona e giusta, visto che dovrà nascere a Stampace, che dietro Sant'Efisio ci andasse sin da subito e secondo vera devozione. Che non è roba per beghine, per codini del folclore, sepolcri imbiancati del dogma, dottori di dottrina. Non per i Signori dei palchi addobbati e scarlatti, che infatti qui non ci sono mai.
Questo tratto è per i semplici. Sulla scia della mantellina rossa del Santo decollato c'è sempre gente come Violetta. Anche se la sua mente è svagata, e i suoi occhi a mandorla (troppo a mandorla) sembrano sempre rivolti verso un mondo ovattato, anche per lei, neppure dieci anni, il dolore non fa sconti. Non fa saldi per Elenuccia, che guarda Violetta, con la curiosità e l'eccitazione di chi ha riconosciuto un suo simile per età e scarsa fortuna. Elenuccia arranca con una borsettina al fianco che non è un vezzo da futura adolescente ma una macchinetta che le hanno dato in ospedale per il suo cuore carogna, già consunto prima di battere per la prima volta.
Ma nessuno si è fatto vanto delle proprie pene, come a un talk show, perché quando al Villaggio pescatori la teca si è aperta per baci e carezze alla tunica lignea del Santo, la visione è stata chiara. Mentre si è tirato un po' il fiato, ognuno ha guardato il suo vicino di camminata e ha compreso. Alessandro Castangia, guardando un diciottenne in sedia a rotelle, non ha più maledetto il suo rene atrofizzato; Pino Ancis non ha imprecato contro la sua artrosi deformante mentre ha pianto, sì ha pianto, al cospetto del suo vicino senza più braccia né vista tenuto per un fianco da una ragazzina così piccola e così enorme.
Il carro è partito e con lui l'assalto delle zanzare appostate come indiane nei canneti. All'orizzonte si è vista la cupoletta della cappella di Villa Ballero, dieci minuti alle 3, e le preghiere si sono fatte più forti come nello sprint finale della 2000 siepi. Il 105 bis ha guardato Lei e le ha dedicato l'ultima preghiera prima che il Santo entrasse nella villa e venisse spogliato e rivestito, destinazione Nora. La campanella ha iniziato a battere i tocchi del benvenuto e la tradizione ha seguito il suo corso.
Lei si è accostata e gli ha detto. «Ti prego, da oggi non voglio essere più un numero». Non più, mai più il 105, numero di registrazione che le hanno dato quando è entrata in sala trapianti rassegnata a lasciare il mondo e decisa a far sopravvivere, donando il suo cuore, il suo fegato, i suoi reni neppure quarantenni, chiunque potesse salvare da una fine che non fosse meschina come la sua. Lui ha annuito. Lei gli ha sussurrato il suo nome, poi lo ha salutato felice di averlo salvato ed è tornata nel suo cimitero di San Sperate dove riposa in pace come tutti i martiri guerrieri.
FRANCESCO ABATE

03/05/2009