Si accende il dibattito dopo la comparsa della donna velata alla Prima fermata
Domenica pomeriggio la donna velata da capo a piedi ha lasciato la spiaggia della Prima fermata. Nessuno l'ha più vista. Ma l'eco della sua presenza rimbomba ancora nel litorale cagliaritano: la “donna con il burkini” fa notizia (sorvolando sul fatto che non indossava il costume da bagno studiato per le donne islamiche ma era semplicemente vestita di tutto punto). Ne parlano, mentre fanno colazione, Francesca Puddu e Roberta Matta, sedute nei tavolini di un chiosco insieme ad altre due persone. «Se non si scivola nell'oscenità», riflettono quasi in sincrono, «va tutto bene. Nulla da dire sul burkini così come nulla da dire sul topless. Nessuno di noi ha la verità in tasca: l'unica regola deve il rispetto della convivenza civile». A pochi tavolini di distanza una coppia di giovanissimi, Davide Leinardi e Claudia Piredda. «Nessuno può sindacare sulla scelte di vita e religione altrui. Per altro, in spiaggia si vedono cose decisamente più oscene».
LA DECANA La presenza di quella donna non è passata inosservata. Anche se chi stava, in quelle ore, lavorando non si è accorto di niente. «Ma non mi sarei certo scandalizzata», afferma Tiziana Cotza che si occupa dello stabilimento della cooperativa Golfo degli Angeli. «Anzi», riprende, «non ci avrei trovato nulla di strano: mia nonna, quando va al mare, è vestita di tutto punto. E, addirittura, visti i suoi problemi di salute, deve fare il bagno indossando anche le calze velate». Sotto uno degli ombrelloni della cooperativa è seduta la decana delle avvocate cagliaritane, Giovanna Crespellani. «Credo proprio», riflette, «che non è neanche il caso di soffermarsi su certe cose. Non riesco a capire perché ci siano italiane che si convertono e indossano certi capi. Ma è anche vero che ciascuno si veste come vuole».
IL RAZZISTA Il burkini non sembra creare problemi ai cagliaritani. Neanche ai “leoni da tastiera” che insozzano i social network con i loro deliri? Anche loro, messo da parte per qualche ora il computer, si trasformano in bagnanti. «Questa immondezza deve tornare a casa». Probabilmente quella era una famiglia con passaporto italiano. «Non me ne frega niente. Noi a casa loro possiamo usare i nostri costumi? No. Allora neanche loro devono usare i propri». Veramente, in Tunisia, in Egitto, in Marocco e in altri paesi arabi i bikini sono consentiti . Inutile, comunque, insistere. Va be', come si chiama? «No, il mio nome non deve finire sul giornale». I “leoni da tastiera”, forti solo tra le mura di casa e, possibilmente, coperti dall'anonimato.
IL D'AQUILA Nella “spiaggia libera” nessun problema per gli eventuali burkini. E negli stabilimenti balneari? «Da tempo», risponde il direttore Gilberto Picasso, «arrivano donne vestite di tutto punto. Sono le badanti, arabe, di alcune nostre clienti». Presenze tutt'altro che inquietanti. «Mi preoccupano molto di più i comportamenti di nostri concittadini: di loro ci ritroviamo a parlare con polizia e carabinieri».
IL LIDO Nello stabilimento vicino, Aldo Spanu, seduto ai tavolini del bar, legge proprio l'articolo sulla “donna con il burkini”. «Queste cose non dovrebbero neanche fare notizia: ci si lamenta per chi è troppo vestito, ci si lamenta per chi troppo spogliato. È incredibile». Il direttore del Lido Guido Passino è sintonizzato sulla stessa lunghezza. «È scandaloso che questa vicenda sia diventata un caso. E questa è una riflessione da cittadino». E da rappresentante della società che gestisce lo stabilimento? «Devo intervenire solo se rilevo comportamenti sbagliati. Indossare un burkini non lo è». E, se l'anno prossimo, una famiglia musulmana prendesse la cabina e qualche vicino si lamentasse per la loro presenza? «Sarebbe un problema di chi si lamenta. Perché io non posso e neanche voglio mandare via nessuno».
IL MUSULMANO Nel prato artificiale del Lido si ferma per un attimo di riposo Mohamed Moustapha Sylla, un senegalese che vive a Cagliari da una vita. «Trovo giusto», dice, «che ognuno faccia quello che ritiene più giusto. In Senegal, per esempio, le donne in spiaggia usano pantaloncini. Non si deve fare l'errore di sovrapporre l'islam al burkini. In nessuna parte del Corano viene indicato un capo d'abbigliamento. Il burka - ma anche il hijab o le altre vesti femminili - non rappresentano un dettame religioso ma sono esclusivamente un fatto culturale. Non a caso, nel mio paese che, pure è musulmano al 98 per cento, nessuno indossa questi capi».
Marcello Cocco