Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

L'inferno delle donne, tre su dieci a rischio

Fonte: L'Unione Sarda
1 giugno 2016

In Sardegna dati allarmanti. Richieste d'aiuto raddoppiate a Cagliari

 

I centri antiviolenza: sempre di più le giovani

 

«Non lo vogliono capire le ragazze. L'ultimo appuntamento, noi le avvertiamo sempre, è davvero l'ultimo». Lo dice d'un fiato Nelly Busetti . Risponde al numero del centro antiviolenza Donna Ceteris di Cagliari e dice che sì, la tragedia di Sara, la studentessa romana tormentata e infine uccisa dall'ex fidanzato, ha molti tratti in comune con le storie di donne in pezzi che ogni giorno arrivano da loro.
Erano 770 nel 2014, il doppio (1448) nel 2015 e lo scorso gennaio si è registrato un incremento del 35 per cento delle richieste d'aiuto rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Solo alcune delle voci di donne vittime di violenza e prigioniere di una relazione malata, una minima parte di quel 30 per cento di ragazze e signore fra i 16 e i 70 anni che in Sardegna (dati Istat) hanno subito violenza in casa o da parte di un ex, marito o fidanzato. Dentro questo inferno c'è anche quel 12 per cento di vittime di abusi sessuali del partner, e i casi di femminicidio.
Al centro Donna Ceteris dicono che sono sempre più giovani le voci che chiedono aiuto. Una su quattro ha tra i 18 e i 25 anni. «L'età di Sara è indicativa di un fenomeno sempre più preoccupante - avvisa il presidente Silvana Maniscalco -. Oggi tante più ragazze tollerano certi comportamenti vessatori e violenti del compagno. Arrivano ad accettare pure lo schiaffo, pensando “è geloso perché mi vuole bene”. E si tratta anche di ragazze che studiano all'Università, brillanti, con una buona rete di relazioni. Occorre lavorare molto sulle nuove generazioni, insegnare loro che non si devono sottovalutare i pericoli legati a una relazione sbagliata. Soprattutto, le donne devono capire che bisogna parlare».
Lo hanno capito molte delle duecento che lo scorso anno a Cagliari (nel 2014 furono 210) si sono rivolte al centro antiviolenza di Donne al Traguardo che gestisce anche una casa protetta (22 le ospiti, assieme ai figli, diciotto, nel 2015; mentre nel 2014 sono state 24, con 22 minori). «Nell'ultimo anno - spiega Silvana Migoni , presidente dell'associazione - c'è stato un aumento di violenze fisiche anche gravi che si aggiungono a quelle psicologiche ed economiche». Non sempre una donna che trova il coraggio di parlare, di denunciare, va dritta per la sua strada. «C'è anche chi si fa convincere a tornare sui propri passi. Ripensamenti sotto la pressione di familiari, amici che magari dicono “Perdonalo”, “Hai figli”, “Cosa dirà la gente”. Queste, diciamolo chiaro, sono donne che tornano col compagno e rischiano la vita». È quel che dice pure Luisanna Porcu , responsabile del centro antiviolenza Onda Rosa di Nuoro dove arrivano, in media, 300 donne l'anno, la maggior parte fra i 30 e i 50 anni (l'associazione gestisce anche una casa rifugio, oggi ci sono 40 ospiti con 25 minori). «Raccontano storie di violenza psicologica, che è quella prevalente, poi ci sono le botte, e la violenza sessuale». Ma le famiglie sanno? «Ci sono quelle che sanno, quelle che non si accorgono di niente, quelle che dicono “Dagli un'altra possibilità”».
Ieri e lunedì i telefoni dei centri d'ascolto hanno squillato senza pace. Accade sempre quando si sente di storie come quella di Sara. «Da noi succede pure che le donne ci dicano “La prossima potrei essere io”», confida Francesca Marras , del centro antiviolenza Donna Eleonora di Oristano (presidente Patrizia Desole) che nel 2015 ha seguito cento nuovi casi e da gennaio ha ricevuto altre 45 richieste d'aiuto. «Sa qual è alle volte il problema? Accade che certi segnali non vengano tenuti adeguatamente in conto dalle istituzioni, come servizi sociali, tribunali, forze dell'ordine. Le donne hanno difficoltà a denunciare anche per via dei tempi della burocrazia e delle leggi».
Il perdono, talvolta, alle parrocchiane col cuore e le ossa a pezzi lo raccomandano pure i preti. «Non è sempre così. Non quando in pericolo ci sono i figli, in quel caso la madre è tenuta a separarsi. E non in situazioni di martirio cosciente, lì c'è patologia», avverte don Mauro Bucciero , presidente del Tribunale ecclesiastico regionale. Condizione del perdono è, spiega il sacerdote, che chi lo riceve riconosca di aver sbagliato e di non farlo mai più. «Ma quando la vita coniugale diventa un inferno, per sé e per i figli, allora è lecito separarsi». È quel che dice la Chiesa. Poi, magari, non bisogna finire all'inferno per cercare salvezza.
Piera Serusi