Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Le battaglie dell'architetta Tatiana Kirova: «L'Università? Un ambiente chiuso»

Fonte: L'Unione Sarda
23 maggio 2016

L'INTERVISTA. Screzi sul restauro del San Giovanni e sugli interventi a Castello

 

Maria Francesca Chiappe

Ha fatto il Classico. E anche l'Artistico. Voleva tradurre dal russo all'italiano: libri d'arte. Quando andava a trovare il padre a Sofia, dov'è nata, ne approfittava per fare il pieno di concerti e spettacoli. «Lì non erano un lusso come da noi». Viveva a Torino con la madre, casalinga esperta di cucito e dal francese fluente, che aveva sposato l'ufficiale delle ferrovie bulgare, un ingegnere con laurea al Politecnico piemontese, ma fino all'età di otto anni era rimasta a Sofia. «Ero mancina, scrivevo in cirillico e parlavo mezzo bulgaro», così ha dovuto ricominciare quasi daccapo. Ma poi ha recuperato. E non ha più fatto la traduttrice. «Ho studiato architettura». Ed è diventata sarda. Sì, sarda: Tatiana Kirova subito dopo la laurea con 110 e lode e una borsa di studio nel settore del restauro, ha conosciuto un ingegnere nuorese. «Una mia amica mi aveva procurato il contatto: cercavano qualcuno per il restauro della casa di Grazia Deledda, a Santu pedru. L'incoscienza mi fece dire: digli pure che lo faccio io ». In realtà contava sul suo professore il quale, però, non era affatto interessato. E lei, che a Torino stava iniziando la carriera universitaria, quando ha comunicato il trasferimento in Sardegna, intuiva i commenti: poveretta, si vede che aspetta un figlio ». Invece no, era stata semplicemente «fulminata sulla via di Nuoro». Il fidanzato, poi marito e padre dell'unica figlia, «18 anni più di me», aveva studio anche a Cagliari dove presto la famiglia ha messo radici. «Era il 1972, arrivavo con una dote: una borsa di studio biennale poi diventata quadriennale». Ma non fu facile. «Ambiente chiuso. Ho avuto grandi difficoltà a inserirmi, una che arrivava da fuori non la volevano». Risultato: 12 anni di precariato. Ma quando sono venuti fuori i concorsi si è rifatta: «Ho vinto a Roma, non volevano credere che volessi andare a Cagliari, ma lì avevo marito e figlia». Erano 12 le cattedre per gli ordinari di Restauro nelle facoltà di Ingegneria di tutta Italia, una era la sua. «L'unica donna». Nel 1981 ha fondato a Cagliari l'istituto di architettura; ha lavorato sui siti minerari lottando per iscriverli al patrimonio dell'Unesco, senza riuscirvi, al contrario di quello di Barumini; nel 1985 ha contribuito al restauro dell'ospedale San Giovanni di Dio, con più di uno screzio con la Sovrintendenza. «Ho l'abitudine di parlar chiaro». Così, gli ultimi dieci anni di carriera universitaria li ha trascorsi a Torino: «Ho sempre avuto contro tutti, tranne il professor Carta. Ero estranea all'ambiente, non è solo un discorso politico». Familismo? «Eh, sì. Qui ci sono i figli dei figli che saranno anche bravi ma perché l'ambiente è così chiuso»?
Ma poi è tornata «e non vado via», anche se ha casa pure a Roma: va e viene. A 74 anni continua a insegnare all'università telematica internazionale Uninettuno ed è pure nel Consiglio superiore dei lavori pubblici: «Ho avuto più fortuna da pensionata». Nessun rimpianto, anzi. «Il mio orgoglio è aver vinto una cattedra senza appoggi».
Ha dovuto lottare, sempre: nel 1981, un mese dopo la conquista della cattedra, un incidente le ha portato via il marito. «Aveva progettato la strada per Ottana che gli è stata fatale. Grazie a lui ho potuto conciliare famiglia e lavoro, dopo mi ha aiutato mia madre».
Si definisce «senza fissa dimora» eppure si sente cagliaritana. «Insieme a Torino Cagliari è una delle poche città migliorate col tempo». Ma individua due «occasioni mancate»: il sottopassaggio di via Roma, («lo hanno fatto perfino a Olbia») e i servizi: «Abbiamo riqualificato la città ma non i servizi, bisogna puntare sul terziario, Castello non vive ancora, ci vuole un piano adeguato di risanamento dei sottani». Quel che è stato fatto dentro le mura negli anni passati non le piace neanche un po': «Hanno tombato tutto, inclusi i percorsi sotterranei che portano ai Giardini pubblici, hanno pensato solo agli arredi urbani». E ora, appena rientrata da Porto Rotondo, rispolvera la verve mai sopita e attacca: «Serve un albo delle architetture d'autore contemporanee, col Piano Casa stanno falsando l'architettura che l'Aga Khan ha portato in Sardegna utilizzando il granito sardo e facendo di quei luoghi una vetrina dell'Isola nel mondo».