Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

L'anima di un uomo La fiaba di Respighi

Fonte: L'Unione Sarda
21 marzo 2016


 “La campana sommersa” il primo aprile al Lirico

 

A l Metropolitan di New York, diretta da Tullio Serafin, procurò al suo autore ben cinquantatré chiamate in scena. Un successo strepitoso, per “La campana sommersa” e per Ottorino Respighi. Era il dicembre del 1928, e il compositore bolognese era notissimo. Aveva 49 anni e cinque anni più tardi sarebbe approdato anche a Cagliari, sala della Provincia, per dirigere l'orchestra dell'ente nel Trittico botticelliano e nella “Maria Egiziaca”.
Adesso è proprio la sua “Campana” ad approdare a Cagliari, dove il primo aprile aprirà la stagione del Lirico. Un'opera poco nota, come nella migliore tradizione di Mauro Meli, chiamato dal neo sovrintendente Claudio Orazi ad affiancarlo nel ruolo di direttore artistico. Sul podio Donato Renzetti. La regia è di Pier Francesco Maestrini (ricordate la “Turandot” scioliana?), le scene di Juan Guillermo Nova, i costumi del cagliaritano Marco Nateri. Protagonisti Valentina Farcas e Angelo Villari, entrambi noti al pubblico cagliaritano.
È stato proprio Meli, ieri pomeriggio, a presentare l'opera di Respighi a un pubblico attentissimo. «Sono il cover di un conferenziere», ha esordito scherzosamente. La sua è stata una dichiarazione d'amore per il compositore, per la sua grande produzione musicale e per quest' opera in particolare, «la sua più bella». Rappresentata per la prima volta allo Stadttheater di Amburgo il 18 novembre del 1927, tratta da un poema del tedesco Gerhart Hauptmann, è «una metafora della vita sotto forma di fiaba», ha detto Maestrini, chiamato da Meli a parlarne. «Uno scontro tra la natura, i desideri più istintuali dell'uomo e la morale cristiana, che impone regole certe per contrastare il caos».
«Un'opera sul suono, sull'anelito della creatività, sul faustiano desiderio di restare eternamente giovane», ha aggiunto Meli nel sottolineare il contrasto continuo, nella storia d'amore tra l'elfe Rautelein e il campanaro Enrico, tra realtà e irrealtà, paganesimo e cristianesimo, esseri mortali ed esseri soprannaturali. «Una fiaba mitteleuropea, intrisa di simbolismo e di impressionismo che la musica di Respighi (e il libretto di Carlo Guastalla) hanno trasformato in un capolavoro».
Meli, che ha chiamato a dare un assaggio dell'opera alcuni dei protagonisti, ha fatto un ampio excursus sulla fortuna di Respighi, sul suo appartenere alla Generazione degli Ottanta come Pizzetti, Casella, Malipiero, Alfano, «e io aggiungerei Federico Ghedini». Musicisti di grande vaglia, uniti dall'attitudine al modernismo, al rinnovamento, attratti dalla musica antica, e nello stesso tempo pronti ad affrontare, da ventenni, il Novecento che vedeva la luce. Eppure poco studiati, rispetto ad altri. Un buco nero per la storiografia musicale, li ha definiti, ipotizzando ripercussioni negative legate alla loro connotazione di simpatizzanti del Fascismo. Ma Respighi, di lui si parla, non lo era. E non solo perché il suo carissimo librettista Guastalla era ebreo. Non lo era al punto che a Bologna salvò Toscanini dagli attacchi dei fascisti, che volevano malmenarlo perché si era rifiutato di eseguire a teatro inni a lui sgraditi.
Strumentista notevole (violinista, violista, pianista), direttore d'orchestra, uomo pieno di interessi (la scienza, la filosofia), appassionato di viaggi, Respighi era amante di Monteverdi e Cimarosa, autore prolifico e ammiratissimo di brani musicali, di opere e balletti. «Un grande orchestratore. Come Wagner, come Debussy». Un precursore raffinato che giocava con la musica, dominandola, così come sapeva smontare e rimontare qualunque oggetto.
Maria Paola Masala