Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

«La scritta? Un errore»

Fonte: L'Unione Sarda
29 febbraio 2016

Il mondo della street art non assolve l'autore dei pasticci al Poetto

 

Ma i writer chiedono uno spazio per fare le “tag”

 


«Anche io “sporco” illegalmente i muri con le mie tag. Ma né io né gli altri del mio gruppo l'avremmo mai fatto nei nuovi arredi del Poetto». Conan («niente nome») è un architetto. Ma, per i writer cagliaritani, è soprattutto un modello da seguire: da quasi 18 anni usa le bombolette spray per lasciare la sua etichetta (tag, appunto secondo il linguaggio della street art) nei muri cittadini. «Ma trovo sbagliato danneggiare i nuovi arredi urbani e il centro storico». Nessuna giustificazione per Pole, il giovane che ha sfregiato le panchine del Poetto. «Certo, non è giusto criminalizzarlo: ha fatto una sciocchezza, soprattutto perché non ha pensato alle conseguenze. Conoscendo Cagliari e i cagliaritani era logico che si sarebbe scatenato un putiferio».
LE REAZIONI Il mondo dei writer cagliaritani è sintonizzato sulla stessa lunghezza d'onda: Pole non va crocifisso ma il suo non è stato certo un gesto intelligente. «Si è comportato quasi come i cani che fanno pipì per segnare il territorio». Lo sostiene Marco Peri, storico dell'arte, profondo conoscitore della street art. C'è arte e arte, ci sono graffiti e graffiti, dice Peri. «Quando Crisa ha cominciato a disegnare le balene in città», spiega, «dietro la sua poesia visiva aveva un messaggio da comunicare: il suo era un discorso che potrebbe essere definito ecologista. E poi sceglieva, badando al decoro, i luoghi in cui disegnare».
LA BOCCIATURA L'errore di Pole è da matita rossa. «Ma non è il caso di gettargli la croce addosso: ha dimostrato presunzione per aver voluto “personalizzare” un bene pubblico. E, naturalmente, ha fatto vedere di non avere senso civico», afferma Daniele Gregorini: lui, insieme ad altri writer, ha “conquistato” uno spazio e ha creato, diventandone direttore artistico, la “Galleria del sale”, museo a cielo aperto per la street art. «Ormai», prosegue, «le città di tutto il mondo sono piene di tag. Magari sarebbe il caso di creare uno spazio che accolga questo genere di messaggi».
IL GIUDIZIO La valutazione è unanime: Pole ha fatto una sciocchezza che, però, va riportato alla sua giusta dimensione. Un errore facilmente rimediabile commesso da un giovane incapace di prevedere le conseguenze. «Il danno in sé», riprende Conan, «è una fesseria». Ma l'errore più grande è l'aver scimmiottato pedissequamente i writer statunitensi. «Loro hanno cominciato a mettere le tag sui muri occupati dai cartelloni delle multinazionali per riappropriarsi della città e per contestare l'annullamento dell'individuo. In Europa, però, avendo tanti spazi ricchi di storia, occorre avere un'attenzione diversa».
LA FILOSOFIA Una street art istituzionalizzata: quasi un ossimoro dal momento che l'illegalità rappresenta una delle caratteristiche di questo genere di espressione. «Ci sono grosse differenze tra il lavoro eseguito legalmente e quello illegale: cambia proprio la tecnica. E si perde l'estetica del tratto veloce cui si è costretti quando si teme di essere beccati». Ma la street art sta cambiando. «Tanto che», dice Peri, «ci ritroviamo i lavori di Bansky protetti a Londra dal plexiglas. E, questo è davvero insopportabile, dobbiamo fare i conti con la street art che finisce dentro i musei». Artisti sì ma senza rinnegare se stessi. «Anche se, sia chiaro», conclude Peri, «non basta dichiararsi artisti per essere tali».
Marcello Cocco