Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Cacip e il ricorso-beffa Porto industriale, i terreni restano al consorzio

Fonte: L'Unione Sarda
12 febbraio 2016

L'inerzia dello Stato estingue la causa, contratti bloccati da anni 


Il ricorso è morto per inerzia dello Stato, che sugli appetitosi terreni del porto canale aveva dichiarato guerra al Cacip. Ma poi l'ha snobbata. Intanto, però, per altri due anni sono rimasti paralizzati investimenti milionari e sviluppo a ridosso del mare. In una città di mare. Sa di beffa costosa e bruciante il decreto del Consiglio di Stato che mette fine, o dovrebbe farlo, alla battaglia giudiziaria sulla proprietà di 178 ettari a ridosso della banchine. Una vicenda che sembrava chiusa nel gennaio del 2014, quando i giudici amministrativi di secondo grado avevano stabilito che il padrone è il Cacip (Consorzio industriale). Ma non era finita: i ministeri delle Infrastrutture e del Tesoro, la Capitaneria, l'Autorità portuale e il Demanio hanno impugnato il verdetto. Attraverso l'avvocatura dello Stato avevano promesso fuoco e fiamme, dai documenti emergeva un'accusa contro il consorzio di Macchiareddu colpevole, a loro dire, di aver fatto carte false per gestire i terreni. Invece niente: «Considerato che non risulta presentata istanza di fissazione di udienza nel termine» il collegio ha dichiarato «la perenzione del giudizio». Causa nell'oblio, ma i danni sono fatti: «Assurdo», dice il presidente del Cacip Tore Mattana, «a causa delle incertezze non abbiamo potuto chiudere importanti contratti. Vecchi preliminari già stipulati hanno portato a contenziosi contro il consorzio. E chi voleva investire non lo ha fatto perché era in piedi questo ricorso, poi lasciato morire».
Lì, intorno alle banchine del porto industriale sarebbero dovuti sorgere capannoni, aree di scambio, infrastrutture, posti di lavoro. Un polo commerciale strategico nel Mediterraneo, si è sempre detto. Qualche numero per capire la portata degli interessi in gioco: 178 ettari, edificabili per il 60 per cento, con un potenziale di circa un milione di metri cubi. Al prezzo, più o meno, di 1.800 euro ognuno. La moltiplicazione porta a cifre astronomiche.
L'operazione era stata pensata quarant'anni fa, la paralisi totale arriva nel 2010. Quando, nella suddivisione delle aree tra Demanio e Cacip, il primo portava via tutti i terreni al Consorzio. Che, convinto di essere il proprietario, aveva già firmato contratti con importanti gruppi imprenditoriali come Grendi, Fradelloni Trasporti, Nuova Saci e Cincotta Srl. Altri accordi erano pronti: le aziende che volevano investire erano una trentina. Inizia l'era dei ricorsi paralizzanti. Che fanno emergere schieramenti anomali: se era normale che l'Autorità portuale spalleggiasse lo Stato - è pur sempre una propaggine ministeriale - meno chiara è sempre stata la posizione del Comune - azionista del Cacip - e della Regione contro il Cacip. Che, affiancato dai privati nel 2012 perde al Tar, ma due anni dopo, a gennaio 2014, si riprende i terreni con un verdetto del Consiglio di Stato. Esultanza per chi allora governava al Cacip: Oscar Serci, direttore generale, e il commissario Natale Ditel.
«Si è perso troppo tempo, ora siamo pronti a ripartire», era stato il loro commento. Non potevano prevedere l'accanimento dei ministeri avversari che hanno impugnato ancora. Il ricorso più temibile era quello che si è estinto per inerzia al Consiglio di Stato. «Ma l'avvocatura dello Stato è andata anche in Cassazione», spiega Mattana, «contestando la competenza dei giudici amministrativi sulla decisione, anche se tre sentenze hanno già stabilito il contrario. L'udienza è il 4 aprile». Ma finora, a quanto ammontano i danni? «Solo stime», dice cauto il presidente del Cacip, «ma parliamo di decine di milioni di euro».
Enrico Fresu