Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Attacchi anche dai cani da guardia

Fonte: L'Unione Sarda
24 marzo 2009

Il reportage. Minacce di aggressioni agli uomini e tante uccisioni di specie a rischio

A Molentargius animali domestici tra i branchi di randagi

Un branco si è insediato nella zona dove nidifica il gabbiano corso, specie a rischio.
Osservano la situazione dall'alto di un avvallamento: sono in cinque e hanno un aspetto inquietante. Ma basta aprire la portiera dell'auto e i cinque randagi scappano via. Una ventina di metri più avanti, un cagnolino di piccola taglia, appostato all'ingresso di una casa, guarda quello che accade; quando l'auto si avvicina verso di lui, comincia ad abbaiare e a ringhiare. Dalla casa escono una decina di altri cani (il più grande di taglia media) che, mostrando i denti, circondano il veicolo. È il quadro di quello che accade nel parco di Molentargius e nelle zone limitrofe: basta fare una passeggiata per rendersi conto che gli animali più pericolosi non sempre sono i randagi. Da temere, invece, sono i cani che vivono con l'uomo.
LA CHIUSURA Ma poco importa, in questo momento, stabilire chi siano i colpevoli. Resta, invece, il fatto che il parco è stato chiuso. Un intervento deciso dopo che un branco di cani si è avvicinato troppo a un gruppo di studenti in visita (evento filmato dagli operatori del Corpo Forestale). Ma che era stato deciso da tempo. La presenza degli animali aveva già creato qualche problema: alcuni mesi fa, un altro gruppo di ragazzi non è riuscito a scendere da un torretta di osservazione perché era stato circondato da un altro branco di cani. Nessuna aggressione vera e propria: gli animali si sono limitati, per ora, a mettere paura ai frequentatori del parco.
I DANNI Semmai, i danni provocati dai cani sono di natura ambientale. «Da qualche anno», racconta la naturalista dell'Ente Parco Alessia Atzeni, «una specie protetta, il gabbiano corso, ha cominciato a nidificare qui: adesso, però, il luogo scelto da questi uccelli viene utilizzato dai randagi per dormire. Ovvio che questo fatto tiene lontano gli uccelli». Ma i cani affamati fanno danni anche peggiori: mangiano le uova di altri volatili, dal pollo sultano ai fenicotteri. E non esitano a cibarsi di altri animali protetti: in particolare, a Molentargius vive una specie di serpenti a rischio estinzione (l'altra colonia è in un isola toscana) e una lucertola anch'essa molto rara.
IL PARCO Ma i responsabili non sono necessariamente i cani randagi. Il Parco fa pensare alle parole crociate a schema libero. Occupa uno spazio, quello limitrofo è magari di un privato, e continua oltre questo. Un caos dove alcuni privati hanno fatto di tutto: esercizi artigianali, depositi di bus, maneggi, in alcuni casi, discariche. E in tanti abitano in queste stradine bianche. Tanti hanno un cane: molti di questi animali vengono lasciate liberi per intere giornate e si aggregano ai branchi di randagi. Difficile identificarli perché, spesso, questi cani non sono dotati di microchip. Nella zona che fa parte del comune di Quartu è stata calcolata la presenza di 120 randagi; un'altra quarantina (ma, di certo, sono di più) occupano il territorio di Cagliari. Questi, in particolare, hanno eletto domicilio nella zona in cui, anticamente, c'era la spiaggia. Una zona di terreni in arenaria che offrono, dunque, tane naturali.
GLI INTERVENTI Centinaia di cani che devono essere messi in condizione di non nuocere. Ma non è facile intervenire. Il Parco deve eseguire un censimento. Dopo di che si dovrebbe passare alla cattura degli animali più aggressivi (sempre che si trovino spazi nei canili). Certo, le cose che potrebbero essere fatte sono tantissime. Ma serve denaro. Servono soldi, per esempio, per sterilizzare le femmine (almeno in questo modo non nascono randagi di seconda generazione). Servono soldi anche per somministrare le sostanze “anti calore”: queste possono essere date solo con il cibo. Quindi ci si ritrova anche nella condizione di dover dare da mangiare ai randagi. Ma qualcosa deve essere fatta. Anche perché all'Ente non vogliono sentire ragioni: il Parco deve essere riaperto, al massimo, entro un mese.
MARCELLO COCCO

24/03/2009