Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

«Il femminismo non si insegna, si pratica»

Fonte: L'Unione Sarda
23 settembre 2015

LA STORIA. In ventidue hanno dato vita a un'iniziativa rivoluzionaria

Il miracolo non è che siano riuscite a rinascere dalle loro ceneri, ma che siano nate. Che abbiano costituito in 22 una cooperativa, creato una libreria. La Libreria delle donne. Sì, come quelle sorte poco prima a Milano, Roma, Bologna, Firenze. Ben altre realtà. Era il 1978, e l'ex magazzino di via Lanusei 15 divenne un luogo dove inventare parole nuove, ridisegnare identità diverse da quelle delle madri, dare corpo a pratiche di partecipazione politica differenti. Un luogo arredato con grazia, (aperto anche agli uomini), caratterizzato da quel verde scuro che loro chiamano “verde libreria”, e ci perdonerà il british green dell'automobilismo sportivo anglossassone. “Hanno creato un salotto per signore”, disse qualcuno. E in qualche modo era vero. Il salotto c'era, vecchi mobili venduti dalle Ferrovie dello Stato e poi ridipinti, e c'erano le signore. C'era il buon gusto, e la voglia di fare la differenza. «Davvero per fare politica è necessario star male»?, si chiede Annalisa Diaz. «Sì, qualcuno ci criticò, confondendo la sinistra col pauperismo. Persino quel poster – il manichino di una santa - che è diventato il nostro simbolo, fu malvisto perché troppo opulento. Come se impegno politico e bellezza fossero inconciliabili».
Se si osserva da vicino, sul grembo della santa c'è una scritta inequivocabile: «La divisione del lavoro, che ha costretto la donna nel ruolo di riproduttrice della specie, ha segnato il suo corpo e quindi le sue capacità espressive, censurandola nel pensiero, nella gestualità, nella parola e nella scrittura». È uno stralcio del manifesto programmatico. Ora è appeso in una delle sale di via Falzarego, rese accoglienti dalle tante locandine, dalle opere donate da Rosanna Rossi e Mirella Mibelli, dal Gioco dell'oca di Maria Lai, dal ritratto della Muta di Raffaello. Da quello di Virginia Woolf. «Una stanza tutta per sé». E per la città. «Il Comune ci ha concesso i locali, noi paghiamo l'affitto col nostro lavoro, garantendo un servizio di apertura al pubblico».
E pensando a nuove iniziative, simili a quelle che per anni si sono svolte al 15 di via Lanusei e poi nel «locale a fianco». Nome generico, appartenente al lessico familiare, per definire la sala acquisita in seguito e divenuta poi Sala Eleonora D'Arborea. Quante riflessioni sono nate là dentro? Per ritrovarle, si possono consultare i testi editi dalla Tarantola, quelli che raccolgono gli atti dei vari convegni, e quelli che vanno oltre. «Il femminismo non si insegna, si pratica (e si studia), non esistono maestre e allieve», sottolinea Annalisa Diaz, che maestra lo è suo malgrado. Le piace dire che lì, ci sono le socie storiche, quelle subentrate e tante, tantissime che danno il loro contributo da esterne. «Per me l'importante è che ogni volta che qualcuno viene qui dica: questo è stato il mio luogo. Per ringraziare tutte possiamo solo confermare, col nostro fare, che abbiamo bisogno di loro».
Maria Paola Masala