Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Certe notti da migranti

Fonte: L'Unione Sarda
17 agosto 2015

 

Il letto è un pezzo di cartone, l'asilo un'aiuola - Speranze e paure nel “Grand hotel Disperazione” di piazza Matteotti

 

Benvenuti nel “Grand hotel Disperazione”, dove vitto e alloggio sono gratuiti. Certo, la “struttura turistica” di piazza Matteotti dove vivono i migranti sbarcati nell'Isola ha qualche pecca. L'alloggio è un pezzo di cartone sistemato nella fontana o nelle aiuole. E il vitto? Be', la qualità è ottima: solo che occorre fare una fila anche di tre ore per ottenere i pasti distribuiti dalla Caritas. A, occuparsi della cena, invece, sono i volontari dell'Aquilone.
LA GIORNATA Un hotel dal quale si “esce” la mattina e si torna quando il sole tramonta. Solo che i “turisti” non vanno a fare shopping o a visitare monumenti. Quelli che parlano l'inglese (c'è soltanto un giovanissimo, proveniente dalla Guinea che conosce l'italiano) girano alla ricerca di informazioni. Quando potranno lasciare questa prigione a cielo aperto? Perché la Sardegna, paradiso dei turisti “veri”, è, invece, un carcere per loro: tutti hanno parenti sparsi per l'Europa, vorrebbero raggiungerli ma il Tirreno è un confine invalicabile. In serata, tornano nella “hall” dell'hotel. «Ci hanno detto», racconta Ojman Salih, venticinquenne eritreo, «che domani potranno imbarcarsi in cinquanta». Il problema è che quel “domani” sembra non arrivare mai.
LA NOTTATA Un'altra notte da trascorrere nel “Grand hotel Disperazione”. I più fortunati cominciano a sistemarsi nella “suite”, l'incavo nel gazebo del Ctm; addirittura, qualcuno è riuscito anche a recuperare un materasso. Gli altri sistemano i cartoni dove capita. Ma non tutti vanno subito a dormire: in un angolo dalla parte della stazione c'è un piccolo asilo dove alcune donne si occupano di tutti i bambini (ce ne sono almeno una decina). C'è disperazione, certo. Ma in quella piazza ci sono anche tante speranze. Piccole storie, tutte simili. Efrem Tekle, ventunenne eritreo, era un tecnico di terra dell'aeronautica. «Ma, anche se lavoravo per l'esercito», racconta, «appena avevo un po' di soldi, i militari venivano a portarmeli via. Magari tanti di voi non lo sanno ma nel mio paese c'è una dittatura feroce. Ecco perché scappiamo».
I RACCONTI Tiranni che fanno paura anche se stanno a migliaia di chilometri di distanza. «Non ti dico il mio nome», afferma il guineano che fa da interprete, «non si sa mai». Lui sogna di arrivare in Francia dove vivono alcuni parenti (nessuno vuole restare in Italia, tantomeno in Sardegna). Ma, nel frattempo, è bloccato a Cagliari. Dove, “prigionia” a parte, non si sta male. «Problemi con la gente di qui? Nessuno», dice Isaias. In realtà, a qualche metro di distanza, c'è un anziano che protesta: «Sono diventati padroni della piazza», sostiene. Vicino a lui, un giovane, la cui lucidità sembra essere stata offuscata da abbondanti libagioni alcoliche, gli fa eco: «Li trattano meglio di noi» (ebbene sì, esistono davvero persone che fanno certi ragionamenti). «Prima una ragazza è stata molestata». Sarà vero? Difficile da credere: alcune giovani, “vestite da discoteca”, attraversano la piazza per andare a prendere il bus; nessuno presta loro attenzione.
IL SONNO La maggior parte dei migranti arriva dall'Eritrea. Tra loro, anche tante ragazze. Arrivano stranieri “regolari” che socializzano con questi migranti (e poco conta che i “vecchi” siano islamici e i “nuovi” cristiani). Si chiacchiera sino a tarda sera. Verso mezzanotte cominciano le pulizie. Anche di quei rifiuti, evidentemente, lasciati dagli italiani (improbabile che qualche migrante abbia i soldi per mangiare da McDonald's). E, finalmente, si va a dormire. Chiudendo solo un occhio, però. Perché, ogni tanto, si attivano gli spruzzatori che innaffiano le aiuole, le “camere” meno nobili del “Grand hotel Disperazione”. Nella speranza che “domani” sarà il giorno in cui si potrà prendere la nave per arrivare, finalmente, nella Penisola.
Marcello Cocco