Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Zona franca, il piano lumaca

Fonte: L'Unione Sarda
3 agosto 2015

Il decreto del Governo risale al 2001. La Regione ha approvato il progetto con grave ritardo

Ben 14 anni per l'ok a Cagliari Free zone: ora servono i soldi

Il decreto della presidenza del Consiglio dei ministri è del 2001 e prevedeva di avviare la zona franca del porto canale in una manciata di mesi. Il provvedimento però non aveva considerato i tempi della politica sarda: così dopo quattordici anni ecco che la Regione approva il “piano operativo” (partorito nel 2013, 12 anni dopo le previsioni) della Cagliari Free zone, società che dovrà gestire il punto franco, sei ettari alle spalle dello scalo industriale di Macchiareddu. Il decreto del 2001 assegnava «sessanta giorni di tempo» per questo passaggio, ma in realtà è servito un anno e mezzo.
I PASSI Tutto pronto? Quasi. Ora bisogna realizzare quelle (poche) cose che chiede l'Europa: recintare l'area di sei ettari a ridosso del porto, creare due ingressi, un impianto di videosorveglianza, gli uffici per la vigilanza e per i dipendenti. «Potremmo iniziare in poche settimane, la recinzione si può fare in tempi stretti e al posto degli edifici possiamo cominciare con container o tensostrutture, come ha fatto Luna Rossa sul molo Rinascita», dice Piergiorgio Massidda, presidente di Cagliari Free zone, società che dovrà gestire il primo punto franco dell'Isola. Ma la partenza sprint non ci sarà: bisogna prima recuperare i soldi per i lavori e poi serve la volontà politica di fare in fretta. Al momento i primi non ci sono, mentre la seconda si sta facendo timidamente largo tra gli amministratori. L'indicazione è quella di esportare la zona franca doganale del capoluogo agli altri cinque punti previsti: «È un modello che vorremmo estendere a Olbia, Porto Torres, Oristano, Arbatax e Portovesme», spiega l'assessore all'Industria Maria Grazia Piras.
LE ALLEANZE Al momento, l'unico decreto istitutivo della presidenza del consiglio riguarda Cagliari. La Free zone è per il 50 per cento del Cacip e per l'altra metà dell'Autorità portuale. In cassa ci sono circa 80 mila euro, mentre per realizzare il “piano operativo” serve almeno un milione di euro. Dove trovare il denaro? La Regione a fine gennaio ha inviato ai due soci una «manifestazione di interesse» firmata dall'assessore alla Programmazione Raffaele Paci, per entrare nella «compagine sociale». Come? Attraverso la Sfirs, braccio finanziario di Viale Trento. L'Autorità portuale ha già ufficializzato la volontà di disfarsi delle proprie quote (deve farlo: è l'indicazione del Ministero) e uscirà di scena. Quando? Al momento sul ponte di comando c'è il commissario straordinario Vincenzo Di Marco, che quasi certamente lascerà la decisione a chi arriverà dopo di lui. La nomina potrebbe arrivare tra settembre e ottobre, ma non c'è nulla di sicuro. A questo punto la Regione, diventata socia della Cagliari Free zone, potrebbe finanziare le opere che servono ad attuare il piano operativo.
I PRIVATI Altrimenti c'è la strada dei privati: «Tantissimi grandi investitori farebbero a gara per entrare nella società», spiega Massidda. L'ultima assemblea della “Cfz”, di cui fanno parte anche il segretario generale dell'autorità portuale Roberto Farci, il presidente del Cacip Salvatore Mattana e l'ex direttore generale del consorzio Oscar Serci, ha preso atto «con soddisfazione» della delibera della Regione ma ha pure segnalato che il documento non è ancora stato notificato alla società e all'agenzia delle Dogane. «In questa operazione devono essere coinvolti capitali privati. Ci sarebbe solo l'imbarazzo della scelta: Dubai, Cina, Usa. La zona franca è un attrattore di investimenti unico», spiega Massidda. «Google vorrebbe realizzare un campus per studiare e sviluppare i droni, poi ci sono l'Hapag Lloyd, le case automobilistiche come Honda e Toyota: tutti stanno guardando quello che succede qui».
Michele Ruffi