Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Civati: «Mai più alleati con il Pd Sostegno a Zedda? Non è detto»

Fonte: L'Unione Sarda
27 luglio 2015

Il leader di “Possibile” in Sardegna: «Il premier nomini Verdini suo vice»

 

«Sono stufo di fare convegni fumosi sul futuro della sinistra. Fassina l'avrò incontrato 350 volte, Vendola rilancia Sel...»: la scuola politica di Pippo Civati non è la mediazione democristiana, proprio no. Sarà anche il caldo boia all'atterraggio a Cagliari, ma appare davvero stanco dell'eterno dibattito su cosa accade a lato del Pd. Lui che dal Pd è uscito dopo lungo travaglio, non vuole averci più a che fare.
Neppure in coalizione, a costo di rimetterci qualche sindaco (un avvertimento per Massimo Zedda). «Parlo solo dei referendum», dice il leader di “Possibile”, citando gli otto quesiti contro l'Italicum, il Jobs act, le trivellazioni in mare e la Buona scuola. Ma partecipando all'iniziativa CiSiamo, a Serdiana, non può sottrarsi al confronto con le altre anime della sinistra.
«La sinistra - riflette Civati prima di approdare alla comunità La Collina, accolto all'aeroporto dal suo alter ego sardo Thomas Castangia - deve uscire dai convegni e dai salotti, deve scendere dal divano e capire che il popolo è sovrano e va ascoltato. E con le persone si costruiscono le soluzioni che il ceto politico non trova».
Per questo ha lanciato la campagna referendaria?
«Per coniugare mobilitazione e progetto di governo, togliendo prima di mezzo le schifezze di questi anni: le riforme elettorali e del mercato del lavoro, le leggi sull'ambiente e sulla scuola».
Nascerà un nuovo, grande partito della sinistra?
«Ci sono le possibilità. Bisogna discuterne le modalità, la base elettorale. Valutare le differenze tra noi: ce ne sono, com'è giusto che sia. Per esempio Fassina vuole uscire dall'euro, io no».
Fassina venerdì è venuto alla Collina, anche lui.
«Con le dracme?»
No, con l'idea che avvierete la fase costituente del nuovo partito entro l'anno.
«Si può fare se c'è convergenza sulle cose. Per me è fondamentale il progetto di governo: quali cose proporremo, come le valutiamo, come le votiamo».
Chi sono gli interlocutori? Sel, Cofferati, la Cgil?
«Il nodo Sel si risolve facilmente: non fanno la campagna referendaria, noi sì. La Camusso giudica inutili i referendum, mentre prima ne parlava la stessa Cgil. La sinistra preferisce le dispute teoriche: l'erosione del Pd e l'evoluzione di M5S aprono prospettive clamorose, e noi ci guardiamo l'ombelico».
Forse i referendum sono nati in modo un po' solitario.
«Ne ho parlato per mesi con tutti gli interlocutori possibili. C'è chi mi riceve nel suo ufficio e poi dice di non saperne niente».
Faccia i nomi.
«Prima o poi li farò. Comunque, i referendum sono la cosa meno egocentrica che ci sia. Non sono miei: se tutti aderiscono, i meriti di “Possibile” non si vedono. Ma mi rispondono: facciamoli nel 2023... Sai che figata! Ma non ci fermiamo».
Mai più alleati col Pd?
«Per me, no. Lo consiglio anche agli amici di Sel: possono uscire dalle coalizioni col Pd e non succede niente. Alle Comunali c'è anche il doppio turno, che aiuta».
Ma così mettete a rischio Massimo Zedda a Cagliari.
«Perché, Zedda è del Pd?»
No, ma il Pd è il suo principale alleato.
«Il Pd non sta tanto bene, da due settimane parlano solo di Verdini. Anzi, io suggerisco di fare Verdini vicepremier, così il Nazareno diventa un progetto di governo».
Tornando alle alleanze?
«Se vogliamo essere liberi e indipendenti, facciamo anche scelte dolorose. A Milano e Bologna ci sono riflessioni in atto. A Cagliari Zedda ha la maturità per decidere: chiaro che, se è il candidato del Pd, noi dovremo aprire una riflessione molto seria sul nostro sostegno».
Giuseppe Meloni