Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Vinicio Capossela e le fole che cuciono «la ferita continua che la vita produce»

Fonte: L'Unione Sarda
5 giugno 2015


Festival

 


C hi sono i Coppoloni?
«Sono persone che hanno grossi copricapi che li rendono sordi, ma amplificano la loro immaginazione, nella fantasia. Per la storia, sono gente da macello, gente che si fa passar addosso la Storia senza esserne realmente parte». Sono personaggi immobili e mitici, immersi in un paesaggio umano e geografico che mescola il noto e l'ignoto. Sono le figure che, coi loro “stortinomi”, raccontano le mille e una storia di Vinicio Capossela, il suo passato e il suo presente, le radici e i suoi miti, gli stessi che nutrono la sua musica, la sua identità, la sua scrittura. A “Il paese dei Coppoloni”, candidato al Premio Strega, e alle fole che vi sono narrate, era dedicato l'incontro di ieri sera per Leggendo Metropolitano, del cantautore italiano tra i più noti e apprezzati.
A che cosa servono le storie?
«A nulla. Servono a ricostruire il mondo, a ritenere la menzogna per lasciare la verità, a scambiare la realtà con l'immaginazione. A ricucire la ferita continua che la vita produce».
Ci sono fole che ingannano e fole che nutrono il cuore e la mente. Che fole racconta?
«Questo è un libro pieno di fole, espresse dai volti e dai nomi delle persone che il viandante narratore incontra nel libro. Sono i luoghi e i personaggi a parlare. L'autore fa un passo indietro e dà voce a chi altrimenti non l'avrebbe. Sono storie che nascono da domande senza tempo. “Da dove venite”, “Cosa andate cercando”, “A chi appartenete”. Ho scritto questo libro in vent'anni».
Nel libro c'è la terra dei suoi avi, l'Irpinia. Cosa vuol dire appartenere a un luogo?
«Il mio senso di appartenenza è una dimensione mitica. Appartengo alle generazioni che hanno generato anche me e che sono riconoscibili in ciò che sono. L'appartenenza si svela nel riconoscimento di questa storia di cui sono l'epigono. Che è anche una forma di riconoscenza».
Franca Rita Porcu