Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

La città invoca il santo per la pace o la vittoria

Fonte: L'Unione Sarda
4 maggio 2015


ANNIVERSARI. Primo maggio 1915, vigilia della Grande Guerra

 

Cagliaritani divisi sull'interventismo, mentre fanno
i conti con la grave crisi economica e la siccità



C ent'anni or sono la Cagliari che s'apprestava a rinnovare, come tradizione, il voto di ringraziamento al "suo" Sant'Efisio il giorno del Calendimaggio, era una città di poco più di 60 mila abitanti, guidata da un sindaco carismatico come Ottone Bacaredda, il professore sessantaseienne da tre decenni protagonista di una stagione amministrativa che la storia cittadina avrebbe poi archiviato come fra le più degne di ricordo. La città, peraltro, non appariva in gran buona salute, dato che erano molti i suoi cittadini che soffrivano per le difficoltà di quella terribile carestia - cussa de su treigi  - che aveva lasciato dietro di sé una scarsità d'alimenti e forti miserie (anche il pane era divenuto scarso e caro, ed il listino di carne e pesci s'era raddoppiato, per cui su famini era divenuto per molti il problema quotidiano). In più, anche i tre mesi dell'ultimo inverno erano stati di una rigidità mai sofferta in passato, con temperature rimaste spesso sullo zero, purtroppo accompagnate da scarsissime piogge. D'altra parte, se è vero che le difficoltà non giungono mai sole, anche sul fronte del lavoro s'erano acuite le sofferenze, dato che molti maistrus (muratori, falegnami, fabbri, ecc.) avevano visto diminuire il loro lavoro, anche perché l'economia cittadina aveva subito un brutto rallentamento.
VIGILIA DI GUERRA Proprio per fronteggiare queste emergenze, e per venire incontro ad una richiesta popolare, il Comune aveva dovuto introdurre un calmiere per i generi di prima necessità, ma i risultati non furono certamente quelli sperati, come avrebbe dovuto riconoscere lo stesso sindaco, ancora una volta assediato dalle proteste popolari. Anche la stessa valvola dei lavori pubblici, che in passato aveva attenuato le difficoltà della crisi, era ormai preclusa, per via d'un bilancio municipale ridotto all'osso. In più c'era il pericolo imminente d'una guerra in cui anche l'Italia poteva esserne coinvolta: ed i costi d'una guerra, come s'era letto sul quotidiano cittadino, avrebbero ancor più aggravato la depressione in atto. Questo insieme di difficoltà e di problemi erano l'argomento giusto per chiedere aiuto a Sant'Efisio ed a cui, da sempre, i cagliaritani si rivolgevano fiduciosi perché li liberasse dalle sofferenze e dai pericoli. Era poi un santo guerriero, per cui chiedere la sua intercessione, in quei giorni in cui in Europa era in atto una guerra fra gli Imperi centrali e l'Intesa anglofrancese ed anche a Cagliari si discuteva e ci si divideva se l'Italia vi dovesse entrare a fianco dell'uno o dell'altro, era ritenuta iniziativa indispensabile: perché aiutasse secondo alcuni a mantenere la pace o, per altri, a favorire la vittoria.
UN SECOLO FA Quel primo di maggio del 1915 sarebbe stato quindi un giorno importante per i cagliaritani. Perché il pellegrinaggio dietro il carro dorato di Sant'Efisio per le vie cittadine e, poi, fino alla chiesetta di Nora, avrebbe consentito di invocare aiuti ed intercessioni divine da quel Santo tanto amato. Alcuni avrebbero diretto le loro preci perché i raccolti agricoli ritornassero floridi, altri invece per ottenere che Trento, Trieste e Fiume tornassero italiane e si completasse l'unità nazionale. Proprio per seguire queste vicende, s'era costituito in città un comitato "per la mobilitazione civile".
SOLE RADIOSO Comunque, per quel Calendimaggio Cagliari s'era presentata fin dal primo mattino in forma smagliante, con il cielo d'un azzurro assoluto ed avvolta in una luce paradisiaca, in cui tutto, anche la miseria più nera s'era tinta di rosa. Era un sabato di festa, e di una festa che è veramente, per i cagliaritani, festa manna, anche se il giornale - L'Unione Sarda del giorno dopo - ne avrebbe dato una fedele ma stringata cronaca di 21 righe con un titoletto - La partenza di Sant'Efisio - su una sola colonna: «Maggio non poteva fare il suo ingresso trionfale con una giornata più bella, più luminosa, più dorata. Sotto il sole che colorava ogni cosa, alle 13 precise, tra la folla che gremiva piazza Yenne, il Corso, la via Sassari, ecc. ha sfilato come ogni anno il caratteristico corteo dei campidanesi, dei miliziani e della guardiania a cavallo che precedeva il cocchio dorato recante il simulacro del Santo…».
SUCCESSO AL TEATRO Sull'Unione del giorno precedente, non c'era stato alcun richiamo sui riti cittadini per quella partenza del Santo, se non un breve trafiletto sull'intensificazione delle corse tramviarie da Quartu, disposta dalla società concessionaria per favorire in mattinata il flusso dei pellegrini campidanesi verso la città. In serata comunque, il Politeama Margherita aveva organizzato una serata "in onore del nostro concittadino Piero Schiavazzi" che avrebbe interpretato Loris Ipanov nell'opera lirica "Fedora" di Umberto Giordano (il cronista annoterà il grande successo ottenuto, con il tenore, carico di doni offerti dagli ammiratori, accompagnato fin sotto casa con applausi e grida di viva Piero, sesi su mellus!).
SPIRITO RELIGIOSO Per quel che si può arguire, la sagra di Sant'Efisio era allora esclusivamente religiosa (non diversamente di quella di Santa Greca a Decimo o di San Mauro a Sorgono), legata alla devozione verso quel santo martire, in quanto le uniche autorità presenti nel corteo, secondo il cronista, erano «il Decano della Primaziale monsignor Serra ed il Primo guardiano dell'Arciconfraternita signor Re», oltre, naturalmente, all'Arcivescovo monsignor Rossi che aveva benedetto il simulacro prima della partenza; del Municipio vengono ricordate solo is polimas, le guardie, in alta uniforme, ma non si dà conto se fosse o meno presente il Sindaco Bacaredda o altri membri della sua Giunta.
Nei giorni successivi, una corrispondenza da Pula per L'Unione Sarda, informava sui grandi festeggiamenti lungo il pellegrinaggio compiuto a piedi da un centinaio di fedeli fino a Nora: della sosta a Villa d'Orri, dove la marchesa di Villahermosa avrebbe offerto «dolci squisiti e fini finissimi» e dell'arrivo finale alla chiesetta del martirio in riva al mare. Qui sarebbe stato offerto dai sindaci di Pula e di San Pietro «un sontuoso pranzo di gala, predisposto con grande cura dal cuoco Giovannino Sanna, composto da dodici portate di carni e pesci ed innaffiato con vini eccellenti del Campidano quartese…».
Paolo Fadda