Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

«Evitiamo un'Asinara bis»

Fonte: L'Unione Sarda
4 maggio 2015


Iniziativa Fai, in due giorni 12 mila presenze. Il tribunale vuole un'ala per archivi

 

Buoncammino, tour guidato con l'ex direttore del carcere


  
 

Diversi gli odori, diversi i rumori: in cinque mesi, a Buoncammino, è cambiato tutto. Andati via i detenuti, è sparito un mondo. Una metamorfosi evidente agli occhi di chi, fra queste mura, ha speso quindici anni e mezzo della propria vita: Gianfranco Pala qui è stato il direttore «dall'aprile 1999 al novembre 2014». All'inizio ci abitava con la famiglia: «Prima di prendere casa a Sant'Avendrace - dice - il mio alloggio era là», e indica una finestra al primo piano, sopra il portone d'ingresso. Quel portone davanti al quale anche per due giorni c'è stata la fila: grazie all'iniziativa del Fai, tra sabato e ieri dodicimila uomini e donne, e fuori calcolo restano i bambini (tanti), sono potuti entrare per un tour di venti minuti lungo il percorso che i detenuti affrontavano all'ingresso nell'istituto di pena.
SUONI E ODORI Superato il cortile dove si affacciano l'ufficio matricola e la sala perquisizioni, si entra nel corridoio che porta al braccio destro del carcere. Qui si capisce il senso della frase “stare al fresco”: la temperatura è molto più bassa di quella esterna. Effetto dei muri spessi un metro. A delimitare il percorso sono i vasetti con le piantine tipiche della vegetazione sarda, offerte dall'Ente foreste: i profumi del rosmarino e del timo sono ben diversi dagli odori che si respiravano qui quando le celle di quest'ala ospitavano 280/290 detenuti e le cucine sfornavano pasti. Le alte volte rimbombano del vociare delle guide e dei visitatori: «Fino a qualche mese fa - commenta Pala - si sentivano altre voci e il rumore dei carrelli che trasportavano il cibo». Vuote e silenziose anche la lavanderia e l'officina, che prima lavoravano a ritmo continuo. È una sensazione che il direttore ha già vissuto: «Penso all'Asinara, dove sono stato direttore dal 1991 alla chiusura, nel 1998. Ci sono tornato tempo dopo: ho ritrovato un luogo vuoto. Prima ci viveva una quarantina di famiglie, c'erano spaccio, scuola e ufficio postale e passavano detenuti, auto, trattori». La promessa del parco, nell'isola, non è stata mantenuta: «Hanno ristrutturato qualche edificio a Cala Reale e a Cala d'Oliva». Gli altri, abbandonati, decadono: «Un destino che non vorrei vedere ripetersi qui».
UFFICI Buoncammino, però, deserto non è. «Intanto - ricorda Pala - un mesetto fa al primo piano sono stati trasferiti gli uffici del Prap, il Protocollo regionale dell'amministrazione penitenziaria, che prima stavano in affitto in via Tuveri. Ci lavora una cinquantina di impiegati». E presto potrebbero aggiungersene altri sessanta circa, sempre dell'amministrazione penitenziaria: «Quelli dell'Uepe, l'Ufficio esecuzione penale esterna. Ora stanno in affitto in via Peretti. Dovrebbero trasferirsi qui, nell'ex caserma della polizia penitenziaria». E non è tutto: «Quindici-venti giorni fa il Demanio, che resta il proprietario dell'edificio, ha ricevuto una richiesta del tribunale di Cagliari che chiede la disponibilità dell'ex sezione femminile per trasferirci gli archivi degli uffici del Giudice di pace». Quindi, mentre la società civile discute e si confronta sul futuro dell'ex carcere, ci sono enti pubblici che fanno mosse concrete per metterci dentro un piede. «Non va dimenticato che parliamo di un edificio pubblico e di enti pubblici i cui dirigenti sono tenuti per legge a trovare soluzioni alternative all'affitto da privati, pena il rischio di pagare di tasca propria. Il sistema degli enti pubblici ha fame di spazi». Un'altra idea di cui si sente parlare, per dire, è trasferire qui il tribunale di sorveglianza.
MUSEO O ALLOGGI Ma Pala, fosse per lui, che futuro disegnerebbe per Buoncammino? «Con muri così spessi e i vincoli della Soprintendenza, non si può modificare la distribuzione interna degli spazi: un albergo, insomma, non ce lo vedo proprio. Sarebbe bello un museo che tenesse conto della storia del luogo, un museo del carcere: a Roma ne esiste uno, in via Giulia. Ma occorrono personale e manutenzioni: un museo costa, e non so se potrebbe bastare l'idea di far pagare un biglietto. L'alternativa potrebbe essere affidarlo all'università per farci aule e alloggi per gli studenti».
VIGILANZA Intanto i visitatori continuano a entrare, a ondate. Come se la spiega, il direttore, tanta curiosità? «C'è anche un bel po' di morbosità. Buoncammino aveva una fama un po' tetra». Meritata, peraltro: Pala lo spiega dal cortile interno. «Era facile da vigilare: tre uomini sulla cinta, due là, due alla seconda porta e uno ai cancelli. Stop. A Uta ce ne servono il quadruplo. Chi ha progettato Buoncammino sapeva quel che faceva». I risultati lo confermano: «Un solo evaso: uno straniero, aspetto distinto. La guardia lo scambiò per un avvocato, gli fece il saluto mentre quello usciva: l'evaso fu ripreso subito, e l'agente fu condannato a sei mesi».
EX CLIENTI Qualcuno tra i visitatori riconosce il direttore. Una signora, per esempio, lo incrocia nel cortile e gli dà il buongiorno. «Un'ex affezionata cliente», sorride lui: «Il marito era detenuto, lei veniva sempre per i colloqui». Ora è qui con i figli. Non è strano: «Solo oggi ho incontrato una decina di ex detenuti. Tornano perché vogliono rivedere i posti dove sono stati e farli vedere ai loro cari». Non ci si vergogna, di essere stati dentro? «In ambienti borghesi sì. In altri contesti no: è un po' come aver fatto il servizio di leva. Ci sono famiglie dove sono stati in carcere i nonni, i padri e i figli».
Marco Noce