Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

«Ma la battaglia non è finita»

Fonte: L'Unione Sarda
29 aprile 2015

A Cagliari la cerimonia al Palazzo Viceregio e la messa in Cattedrale con Miglio

La Sardegna e la libertà: matrimonio ancora incompiuto 

“Babbu nostru” in coro è un'emozione. E c'è chi asciuga una lacrima. Ci sarà pure un po' di retorica nelle celebrazioni di “Sa Die”, ma se è vero - come dice l'arcivescovo Arrigo Miglio - che oggi si parla anche di «patria», per molti questi minuti sono potentemente simbolici. Il senso di una vita.
È strana e bella la messa nella Cattedrale di Cagliari, nel giorno che ricorda la cacciata dei piemontesi, il 28 aprile 1794. La solennità religiosa è la stessa che riempie il concetto di «libertà». E di riconquista di cose che ci appartengono e che la storia, la tirannide, l'indifferenza hanno cercato di strapparci. Nella chiesa si parla in italiano, in latino, ma soprattutto in lingua. E non solo per i canti a tenore che insieme ai suoni delle launeddas legano tutti i momenti. Le preghiere in sardo, le letture in sardo, i moniti in sardo: c'è aria da prima volta nel duomo. E si percepisce, mentre risuona ancora quella parola, “libertadi”, pronunciata dal pulpito da don Mario Cugusi. Cosa c'entra “Sa Die” con la fede? C'entra. È una questione di giustizia e di speranza: dell'una e dell'altra «abbiamo bisogno», è il messaggio cristiano ed è anche il messaggio “politico” lanciato dal sacerdote. Ci pensi chi governa e chi amministra, in questi tempi di crisi autentica. E la chiusura della messa è un concerto che nasce spontaneo e trascina, fondendo il religioso e il laico, con lo stesso significato dell'abbraccio tra Miglio e Nereide Rudas, presidente del Comitato pro Sa Die.
C'è molta gente. Venuta da tutta l'Isola, «da is biddas», ha ricordato poco prima Salvatore Cubeddu, nel Palazzo Viceregio, in una sala altrettanto solenne, tra bandiere e launeddas. Ci sono pure il sindaco di Cagliari, Massimo Zedda, e il commissario della Provincia, Franco Sardi. «Stiamo ancora combattendo», dice Cubeddu e quindi vale sempre l'inno “Procurad'e moderare Barones, sa tirannia” di Francesco Ignazio Mannu, che apre la mattinata, prima di ogni riflessione. E ha lo stesso significato il “Coordinamentu de is Artis pupularis de Sardinia” che nasce oggi per difendere una cultura di sempre, «riconosciuta e apprezzata» in tutto il mondo. Forse più altrove che qui.
È in questo palazzo di Cagliari, nella sala dove «ora siamo relativamente liberi» e dove «siamo stati dominati», luogo «di feste e dolori», che Nereide Rudas ricorda l'origine della parola «libertà»: comparve tremila anni fa in un tavoletta sumerica e significa “ritorno alla madre”. Molto appropriato, se si pensa alla cultura sarda. Il cristianesimo ha elevato il concetto fino alla «massima libertà» e anche questo la Rudas ricorderà poi in Cattedrale. Ma come abbiamo trattato questo bene? «Abbiamo ottenuto l'autonomia speciale, ma non siamo ancora sufficientemente liberi». Alla resa dei conti, «abbiamo dato molto e ricevuto poco». E ciascuno valuti le responsabilità. Vale sempre la frase “Libertà per tutti di tutti” pronunciata da Gramsci, che «partì proprio dall'Isola per definire la sua idea», ricorda Eugenio Orrù. E allora non sia “Die” per un giorno, «ma tutto l'anno».
Roberto Cossu