Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

No a scorie e mafiosi La presidente: sarò la vostra testimone

Fonte: La Nuova Sardegna
23 marzo 2015

Il solenne grido d’allarme del governatore e del Consiglio
«Nessuno pensi di imporre ai sardi nuove servitù»

di Umberto Aime

CAGLIARI Se è vero che da oggi in poi vuole essere lei la testimone della «Sardegna ferita» nei palazzi del potere, Laura Boldrini dovrà dire al resto del Parlamento e a tutto il Governo anche quello che i sardi non vogliono dallo Stato. Non vogliono essere più la regione che sopporta «da decenni ettari e ettari di servitù militari». Ora basta. Non vogliono che la loro terra sia trasformata in un supercarcere se è vero, come sostengono alcuni, che «presto arriveranno troppi detenuti condannati per mafia e camorra». Sarebbe un affronto. Non vogliono neanche immaginare il peggio del peggio: l’isola trasformata addirittura e all’improvviso nel deposito nazionale delle scorie nucleari. No, sarebbe l’ultima sentenza capitale. Anzi, il colpo di grazia. Poi, in estrema sintesi, vorrebbero invece questo: essere considerati finalmente dallo Stato e non dimenticati come troppo spesso accade. È questo il grido d’allarme che, nella seduta solenne, i tre portavoce dell’isola per l’occasione – Gianfranco Ganau, presidente del Consiglio, il governatore Francesco Pigliaru e Pietro Pittalis a nome del l’opposizione – hanno consegnato alla terza carica dello Stato. «Spero – ha detto il presidente della Regione – che nessuno pensi d’imporci la nuova servitù dei rifiuti radioattivi, perché nel respingerla saremo molto determinati». L’altolà preventivo è stato chiaro e tempestivo, come doveva essere. Fra meno di due settimane Roma farà sapere quale regione ha scelto per il «deposito pattumiera». Dio non voglia che fosse la Sardegna: «Mai – ha detto il capogruppo di Forza Italia, Pittalis – Sia chiaro a tutti sin da ora: noi non siamo disposti a subire l’ennesimo affronto e su questo saremo intransigenti, non arretreremo. Quello delle scorie non è un problema di una parte politica, tutti i sardi si riconoscono in questa lotta». Poco prima era stato Gianfranco Ganau a scendere ancora più nel dettaglio, per poi aggiungere: «La nostra è una terra da cui, come sessant’anni fa, si emigra, con un’unica differenza, che ora ad andar via sono soprattutto i giovani laureati, il nostro futuro». Fuggono anche le nuove generazioni da una terra che non sembra avere un futuro e vive nell’incubo di essere «obbligata ancora a essere prigioniera delle tenebre». Tre discorsi molto orgogliosi e in cui però non sono mancati neanche i passaggi di quanto i sardi avrebbero potuto fare e non hanno fatto, che Laura Boldrini ha ascoltato con molta attenzione dalla tolda di comando del Consiglio regionale. Prima d’intervenire, ha preso qualche appunto, altri passaggi deve averli memorizzati come deve fare chi s’è presa l’onere di raccontare «com’è la Sardegna». Deve esserci per forza dell’ottimismo, perché peggio di così non può andare e in questi giorni la presidente si accorgerà di quanto la crisi abbia mandato a gambe levate una terra già in difficoltà. Nel discorso ufficiale, Laura Boldrini non ha preso impegni, quelli spettano a chi governa, ma uno spiraglio l’ha aperto. È stato quando poco prima del suo ingresso nel Palazzo, nel quartiere di Sant’Elia, ha detto con decisione: «Le istituzioni devono ritornare fra la gente, è giusto che ogni giorno ci sia un contatto con cittadini, come fanno dalla mattina alla sera i sindaci e gli amministratori locali». Subito dopo ha aggiunto: «Non si fanno le visite con le transenne, bisogna ascoltare la gente, parlarci ma senza creare illusioni. Non si può più parlare e annunciare. Bisogna agire, passare ai fatti, perché in questo momento la crisi è forte». Anche di questo dovrà parlare a Roma, la presidente della Camera. Perché come hanno ripetuto Pigliaru, Ganau e Pittalis, seppure ognuno con la sua declinazione, «è in questo momento che lo Stato deve dimostrare di essere presente, mentre non mancano i segnali che stia per abbandonare ancora la Sardegna al suo destino», oppure a renderlo ancora più nero se mai dovessero arrivare le maledette scorie nucleari. Dovrà dire anche: i sardi non vogliono essere più considerati come un popolo di piagnoni e lamentosi. No, rivendicano solo quei diritti che finora sono stati loro negati in questi anni di autonomia, o che per averli riconosciuti hanno dovuto sempre scontrarsi con lo Stato in feroci battaglie. Laura Boldrini dovrà proprio dire, a Roma, che «è arrivato anche il momento di dare».