Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Ex Unilever, sequestro del pm

Fonte: L'Unione Sarda
9 febbraio 2015


VIALE MARCONI. Sigilli alle opere realizzate, secondo gli inquirenti, senza la concessione

 

Inchiesta per falso, abusi edilizi e ambientali: cinque indagati

 



La svolta nell'inchiesta è arrivata un anno dopo l'esposto presentato dagli ex dipendenti dell'azienda e all'esito dei primi e approfonditi accertamenti della Procura, in parte ancora in corso. Alcuni giorni fa gli uomini della polizia giudiziaria sono entrati nello stabilimento di viale Marconi, un tempo della società multinazionale Unilever, e hanno messo sotto sequestro gli impianti ritenuti abusivi dagli inquirenti. Una iniziativa arrivata dopo la richiesta formulata dal pubblico ministero Emanuele Secci, che ha aperto un fascicolo penale contestando i reati di falso, abusi edilizi e ambientali a cinque persone. Tra queste ci sono due cagliaritani: Gustavo Pellegrini Bettoli, direttore dei lavori compiuti all'interno del complesso industriale, e Alberto Geri, che sarebbe l'esecutore materiale di alcune di quelle opere.
LA DENUNCIA Quali opere? Quelle ricostruite senza risparmio di dettagli da quindici ex operai dell'azienda nella denuncia depositata in Tribunale a fine 2013 per loro conto dall'avvocato Piergiorgio Statzu. In quel documento si sosteneva che tra il 2012 e i primi mesi del 2013 lo stabilimento in viale Marconi era cambiato radicalmente. Dai capannoni, presenti sin da metà anni Settanta e ceduti nell'agosto 2010 alla “Ferfidin spa” (il cui legale rappresentante era Giuseppe Esposito, 60enne di Napoli, imprenditore già titolare di una ditta di impiantistica alimentare che aveva lavorato per conto dell'azienda di Cagliari e anche lui ora iscritto nel registro degli indagati), erano spariti i macchinari, mentre i dipendenti avevano perso l'occupazione. Il complesso era stato chiuso nel dicembre del 2007 «inaspettatamente», scrivevano i lavoratori nell'esposto, «senza mai un calo di produzione» e per «una non meglio specificata ristrutturazione interna». Tutto questo nonostante «gli importanti incentivi statali e regionali» a favore della “Unilever Italy Holdings srl”. Quell'anno, e questa è storia, i prodotti a marchio Algida preparati e imbustati nello stabilimento erano stati spostati a Caivano, in Campania.
SENZA LAVORO Erano rimasti per strada «circa 200 dipendenti tra interni e indotto». La proprietà, si poteva leggere nella denuncia, «dopo il 2007 e innumerevoli promesse davanti alle istituzioni comunali, provinciali e regionali sulla ripresa produttiva» aveva venduto tutto «al prezzo irrisorio di 2 milioni e 50 mila euro contro un valore di mercato di 9 milioni». Sul complesso erano stati realizzati «lavori edili di grandissima portata» che avevano richiesto «il blocco di mezza carreggiata»: opere prive «di autorizzazione edilizia, ambientale e paesaggistica» che lo stesso assessore comunale all'Urbanistica, Paolo Frau, «aveva detto di non aver rilasciato». Proprio su quelle edificazioni è piombata la magistratura.
GLI IMPIANTI Ma l'esposto raccontava anche di più: lo stabilimento «prima dei lavori di demolizione si estendeva per 19.600 metri quadrati, 8 mila coperti». C'erano «sale produzione, miscele e controllo, celle di stoccaggio, un laboratorio per le analisi batteriologiche, sale per cioccolato, yogurt e latte fresco, due cabine elettriche, una sala compressori con otto macchinari, un'officina meccanica ed elettrica, mezzi per l'inscatolamento, deposito di materie prime, una zona di smaltimento rifiuti e raccolta differenziata, sala mensa, uffici amministrativi e l'impianto di depurazione per le acque reflue e industriali». La domanda dei dipendenti era: «Dov'è il materiale asportato dalla fabbrica? Dove sono le autorizzazioni Asl per lo smaltimento del materiale contaminato e inquinante?» Agli inquirenti il compito di rispondere.
Andrea Manunza