Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Fabio Treves, uomo in blues

Fonte: L'Unione Sarda
17 dicembre 2014


Rocce Rosse Questa sera, ore 22, a Cagliari 

P er i bluesmen italiani della nuova generazione, è una sorta di papà. Per quelli più in là negli anni, un fratello maggiore. Se in Italia non ci fosse stato uno come Fabio Treves, il blues non sarebbe mai arrivato in tanti luoghi, a volte impervi, e alle orecchie di tante persone. In quarant'anni e passa di onorata carriera, l'armonicista-cantante di Lambrate, ha portato questa musica in ogni angolo del Paese, suonando praticamente ovunque e nei posti più disparati. Sui palchi deputati ai concerti, ovviamente, ma anche nelle fabbriche dove si lottava per la tutela del posto di lavoro, nelle carceri, negli ospedali, nelle case per anziani, nelle università. «Insieme alla Lombardia, la Sardegna è la regione che conosco meglio», racconta Treves che, oggi alle 22, approda sul palco del Conservatorio di Cagliari per Rocce Rosse Blues, in compagnia della sua band, preceduto dal set di Francesco Piu. «Anche se non l'ho scoperto io, ritegno di essere uno degli artefici della sua fortunata carriera», dice al riguardo. Portare il blues in un Conservatorio, non lo spaventa affatto, anzi, lo considera «un punto d'arrivo».
«Il blues è la musica della vita di tutti i giorni», prosegue l'armonicista: «Mi fa piacere che venga ospitata anche in un Conservatorio, dove si insegnano e si ascoltano altri generi».
Qual è oggi lo stato di salute del blues in Italia?
«Sul fronte discografico, dischi blues che arrivano in classifica non ce ne sono, però, c'è una produzione vivace, visto che in giro ci sono tante band e tutte sfornano dischi. Anche per quanto riguarda i concerti, tra festival, serate in piazza o nei club, le occasioni non mancano».
Come ha scoperto il blues?
«Sono stato fortunato. Mio padre amava tutta la buona musica. Da bambino ascoltavo Chet Baker, Billie Holiday, Amalia Rodrigues. Quando negli anni Sessanta arrivò in Italia il rock-blues inglese, capii che quella era la mia strada».
Qual è il decennio che ricorda con maggiore affetto?
«Il primo e l'ultimo. Il primo, perché è stato quello pionieristico, fatto di feste delle birra e Festival dell'Unità, dove la gente si aspettava altro, mentre noi una volta sul palco attaccavamo con blues trascinanti e ballabili. L'ultimo, perché quest'anno ho festeggiato 40 anni di carriera. Lo spirito di oggi è identico a quello del del '74. Cerco sempre di dare il meglio e far capire che il blues è una musica di fratellanza e che fa riflettere ».
Il momento più esaltante?
«L'incontro con Frank Zappa nel 1988: mi chiamò due volte a suonare con lui. E poi, quando con la Treves Blues Band ci esibimmo al festival blues di Memphis. Gli applausi ricevuti in quella occasione, sono stati un forte stimolo ad andare avanti».
E la politica? Anni fa scese in campo con i Verdi.
«Sono stato consigliere comunale a Milano. Ho fatto il mio dovere fino in fondo. Nonostante ciò, l'esperienza in politica non è tra quelle che ricordo con piacere».
Carlo Argiolas