Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Il grido della Sardegna: «Basta con le illusioni»

Fonte: La Nuova Sardegna
15 dicembre 2014

Otto manifestazioni nell’isola. Pantaleo (Cgil): il governo non rifiuti il confronto
Ticca (Uil): la dignità del lavoro non si getta dalla finestra come uno straccio


di Umberto Aime

CAGLIARI La Sardegna che non ci sta a essere massacrata da Roma, da Renzi nei diritti e nel lavoro, lo è già abbastanza, è scesa di nuovo in piazza. Contro il Governo, certo, ma anche per invocare più coraggio da parte di chi la governa in casa: «Non si può accettare sempre quello che fanno e disfano sulla terra ferma». Sotto le bandiere rosse della Cgil, quelle blu della Uil e le bianche della Confederazione sindacale sarda, assente la Cisl, l’isola ha partecipato allo sciopero generale nazionale spalmato nei cortei di Cagliari, Sassari, Olbia, Nuoro, Oristano, Carbonia, nei presidi nel Medio Campidano e in Ogliastra. Settemila in tutto, nella somma delle manifestazioni, fra impiegati in bilico, operai spazzati via dalla crisi, cassintegrati di lungo corso, precari a vita, pensionati che con i risparmi fanno sopravvivere figli e nipoti e molti studenti senza futuro. «Abbassano i diritti nelle fabbriche, negli uffici, nella scuola e noi che facciamo? Alziamo la voce», è stato lo slogan più gridato da una parte all’altra. A sgolarsi sono stati quelli che non credono nel Jobs Act salva-Italia e neanche vogliono il colpo di spugna sullo Statuto dei lavoratori, sull’articolo 18 e incassare in silenzio esternalizzazioni barbariche. Dire, come sostiene il premier toscano, che «questa gente per strada difende solo privilegi antichi e assurdi» pare davvero un azzardo. A Cagliari c’è chi da tre anni non vede un euro se non quelli beffa ricevuti nello stage in cui «dovevo imparare un’altra professione, l’ho fatto ma dopo quattro mesi non m’hanno assunto». Sempre nello stesso corteo c’è chi si sente meno di un numero dopo essere stato «rimbalzato – testuale – da un contratto di tre mesi in tre mesi fino a quando mi hanno liquidato: scusa, non ci servi più». Oppure ci sono gli studenti delle Superiori pronti a «una, cento, mille occupazioni per difendere la scuola che deve essere ancora per tutti», e quelli iscritti all’università compatti nel pretendere lo storico diritto allo studio sempre più un miraggio. O ancora l’ex muratore deciso nel denunciare: «Da un anno il caschetto lo mettiamo solo nelle manifestazioni, i cantieri non esistono più». La Sardegna ha perso 72 mila posti di lavoro in quattro anni, il fatturato regionale è in picchiata (-4,5 per cento sul 2013) e continuano a chiudere industrie, negozi, botteghe artigiane e piccole imprese familiari. Mentre tutt’attorno, a Roma soprattutto, «è solo un schifo fra ladri, corrotti, mafiosi che divorano l’Italia boccone dopo boccone», è l’amaro commento di chi sfila sotto il palazzo dell’Inps ma non riesce ancora a incassare la pensione: è un esodato. La rabbia è tanta, palpabile e forse acceca persino le menti, ma qualche politico farebbe bene a uscire più spesso dal Palazzo per annusare l’aria che tira e forse allora capirebbe cosa chiede e vuole la gente. Dal palco Francesca Ticca, segretario regionale della Uil, dirà: «La dignità del lavoro e del domani è un diritto che Renzi o chi per lui non può gettare dalla finestra come se fosse uno straccio». Tema che, a Carbonia, cuore del Sulcis collassato, riprenderà il segretario regionale della Cgil, Michele Carrus: «Da chi ci governa non vogliamo più illusioni ma fatti». La sintesi, ancora dal palco cagliaritano, è arrivata dopo due ore abbondanti di marcia da Domenico Pantaleo, segretario nazionale della Flc-Cgil (lavoratori della conoscenza): «In Italia e nel Sud soprattutto la situazione è esplosiva, il malessere sociale è dovunque e occorre che le risposte, molto concrete, arrivino subito». Per poi ribadire: «Che senso ha cancellare i contratti, rifiutare il confronto coi sindacati, dimostrarsi arrogante con tutti? No, il Governo dovrebbe impegnarsi in altro. Ripensare i modelli economici, rilanciare lo sviluppo, dare respiro alle famiglie, restituire speranza ai giovani e combattere la corruzione. Questo dovrebbe fare un presidente del Consiglio che vuole liberare, insieme agli italiani, l’Italia dalla crisi». Parole dure quasi come lo striscione innalzato al cielo da chi non avrà più di sedici anni: «Mio padre ha combattuto per il lavoro, io oggi combatto con lui perché non lo licenzino».