Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

«Medici, servizi sociali, scuola e famiglia devono lavorare insieme per sperimentare una strategia

Fonte: L'Unione Sarda
28 novembre 2014

 

«Certi problemi per i bambini sono come le ciliege, uno tira l'altro. Per questo vanno aiutati in fretta, perché poi non si sa cosa diventeranno da grandi». Ma spezzare la catena non è facile: «Rivolgersi al pediatra è il primo passo, poi ci sono gli specialisti, psicologi e psichiatri, i servizi sociali, la scuola e naturalmente la famiglia. Tutti devono lavorare insieme e fare la loro parte per trovare una strategia che funzioni».
Alessandro Zuddas, docente nella facoltà di Medicina e direttore del Servizio di Neuropsichiatria infantile al Microcitemico di Cagliari, ha a che fare ogni giorno con casi come quello dell'alunno di 10 anni che i genitori hanno dovuto portare via dalla scuola per i suoi atteggiamenti aggressivi. Li chiamano bimbi ipercinetici o anche affetti da deficit di attenzione. E alle spalle hanno spesso famiglie disastrate.
Come si riconosce un bambino con questo problema?
«Perché ha difficoltà a bloccare le risposte automatiche che derivano dagli stimoli esterni e difficoltà nella percezione del tempo, in quanto per loro un minuto equivale a dieci o più. Infine non riescono ad apprezzare le gratificazioni, per cui si sentono contenti e appagati solo se le gratificazioni sono molto frequenti e particolarmente intense».
Ma da cosa dipende? Fattori ambientali o biologici?
«Non esiste una risposta univoca. Molti bambini funzionano benissimo pur avendo alle spalle una famiglia disgregata, viceversa ci sono bambini problematici pur in presenza di famiglie dove non c'è conflitto o disagio. A volte invece piove sul bagnato e a una componente temperamentale si aggiunge un contesto ambientale sfavorevole».
Cosa succede se non vengono aiutati?
«Che il problema cresce con loro. Se tutte le cose vanno male, se mia mamma mi dice che sono monello, se a scuola il maestro mi caccia sempre dalla classe, allora comincio a pensare che non valgo niente e mi dedico all'unica cosa che penso mi riesca bene: appunto fare il monello, assumendo un atteggiamento che noi chiamiamo oppositivo provocatorio. E man mano che cresco seguirò lo schema, decidendo anche che, tra vedere e non vedere, prima che mi aggredisci tu ti aggredisco io».
Qualcuno ritiene che la colpa sia anche della crisi della famiglia tradizionale. È vero?
«No, non c'è un aumento di casi rispetto al passato. Cambia l'impatto: 30 anni fa in una famiglia con dieci figli si risolveva il disagio non mandando quello problematico a scuola, oggi il figlio è uno e l'investimento è maggiore, cosa che comporta anche una difficoltà nell'accettare che abbia un problema».
In contesti di grave disagio, la soluzione è portare via il bimbo dalla famiglia d'origine?
«È l'extrema ratio, prima si devono tentare tutte le altre strade alternative. Ma a volte, purtroppo, non ce ne sono».
Massimo Ledda

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