Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Philippe Daverio e la “Turandot” delle meraviglie

Fonte: L'Unione Sarda
17 giugno 2014


Il personaggio Lectio magistralis al Lirico di Cagliari 

 


U n impiegato statale con una cattedra universitaria di Design. Si presenta così Philippe Daverio, che indossa scarpe celesti, come i pantaloni e il gilè, giacca a quadri e papillon. Ma stavolta - è lui a dirlo - i suoi allievi sono più numerosi del solito. Milleduecento, di tutte le età, in platea e in prima loggia. Si abbassano le luci, ha inizio la conferenza di presentazione di “Turandot”. O per meglio dire, la magistrale lezione di questo affabulatore italo-alsaziano «che gioca con le parole come uno scultore con le pietre», esordisce Mauro Meli, ed è la dimostrazione di come la televisione, talvolta, faccia qualcosa di buono, se riesce a rendere così popolare un intellettuale che di pop non ha niente. E questo mentre su Raiuno trasmettono Germania - Portogallo.
Daverio condensa nel tempo di mezza partita di calcio un mondo di armonia. Parte dal concetto di opera, «che è il plurale di opus, ed è quindi un lavoro complessivo». Dalla Gesamtkunstwerke di Wagner, l'opera d'arte totale, per arrivare a noi: a Puccini e a Sciola, uniti a Cagliari nell'ultimo capolavoro del compositore toscano. «Prendi una musica che rappresenta la massima avanguardia del suo tempo, tanto da commuovere Schoenberg, combinala con un percorso dell'avanguardia di oggi, e ottieni questo miracolo», dice. Usa spesso il termine stupore («è del poeta il fin la meraviglia»), Philippe Daverio, perfettamente a suo agio sul trono di Altoum: una gigantesca, fintissima pietra di Sciola che è anche l'unico elemento visibile della scenografia. Di più è bene non mostrare. Lo scoprirà il pubblico della prima, venerdì 27.
Il critico d'arte parla della fusione armonica delle arti, del Seicento, della sorpresa come chiave della comunicazione. «Siamo il paese del Barocco perenne, a volte ci va bene, altre no». E prosegue nella sua trascinante galoppata, fino ad arrivare alla nascita della modernità, che racchiude in un anno, 1913, e in un incontro, quello tra Jean Cocteau e il grande coreografo-ballerino Nijinsky. «Un provinciale che incontra il ragazzo più famoso del mondo. “Come faccio ad avere successo?”, gli chiede. E il russo: “Etonne moi. Sorprendimi”. Qui sta la modernità. Tutto nasce da questo grande bisogno della sorpresa. Poi arriva il piccolo schermo, una fregatura tremenda, anche se io ci campo….». Torna a Puccini, «ha rotto il modo di sentire e di ascoltare. E ha saputo stupire».
E Sciola come lui, assicura. «Pinuccio, mio compagno di malattia e di guarigione, è intimamente barocco. Appartiene a tutto ciò che non è classico, che è primordiale, che viene dalle trippe esistenziali, e ha un dialogo costante col magma. Lui non lo sa, ma è pitagorico. Sa scovare l'equilibrio tra astri, materia e numeri». La conferenza è finita, e solo allora arriva lo scultore, fino a quel momento seduto in fondo alla platea. È commosso (nessuno gli aveva mai dato del pitagorico). Si siede imbarazzato su quel trono, che ha voluto così grande «per abbracciare tutti». All'impiegato statale più charmant del nostro Paese la chiusura: «Con tutti i lamenti che facciamo la lirica serve a questo, non è solo fantastico passatempo, e formidabile laboratorio. Noi siamo diversi perché sappiamo mettere insieme Puccini e Sciola».
Maria Paola Masala