Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Il colle restituisce i resti del tempio di Astarte

Fonte: L'Unione Sarda
30 maggio 2014

GLI SCAVI. Archeologi e tecnici del Comune al lavoro a Capo Sant'Elia

 

Un protocollo d'intesa tra Comune e Università fisserà ruoli e competenze ma quanto già scoperto dagli archeologi a Capo Sant'Elia è già un ottimo risultato. L'architetto Maria Luisa Mulliri, del Servizio cantieri del Comune e direttore dei lavori: «Le indagini finora condotte rendono più che plausibile poter affermare che siamo riusciti ad individuare alcuni elementi delle strutture pertinenti all'area templare dedicata alla dea Astarte in età punica e Venere Ericina in età romana». Per questa ragione è «impellente la necessità di proseguire e possibilmente estendere l'indagine per inquadrare i dati sinora emersi».
Mentre prosegue la campagna di scavi nell'area vicina alla Torre Pisana («edificata nel 1291 a pianta circolare», chiariscono le archeologhe Anna Luisa Sanna e Maria Grazia Arru), Maria Luisa Mulliri illustra al sindaco Massimo Zedda e all'assessore ai Lavori pubblici Luisa Anna Marras i risultati delle ricerche condotte con la direzione scientifica di Simonetta Angiolillo e Alfonso Stiglitz, dal funzionario della Soprintendenza archeologica Donatella Mureddu e da Mariolina Lusso (Servizio cantieri), Marco Giuman (coordinamento didattico), Maria Adele Ibba (coordinamento tecnico-scientifico), Chiara Pilo (attività di laboratorio) e Maurizio Melis (tecnico rilevatore). La direttrice dei lavori chiarisce che i risultati della campagna in corso sono ancora allo studio ma conferma che già «a conclusione della campagna di scavi effettuata nel 2008 si era constatato che l'area dell'intero colle risultava interessata da presenze umane che si snodavano per un arco cronologico dal neolitico antico ai giorni nostri, e che apparivano dunque evidenti le enormi potenzialità documentarie che il colle offre sul piano scientifico».
LA CHIESETTA L'interesse dei ricercatori si è concentrato nell'area «interessata dalla presenza delle strutture murarie di quella che a tutt'oggi può essere solo definita la presunta chiesetta di Sant'Elia ». Il mistero dei resti: sono realmente pertinenti alla chiesa? L'identificazione è tutt'altro che certa. «È messa seriamente in discussione dalle evidenze stratigrafiche». L'esistenza di una struttura dedicata al culto «rende per lo meno plausibile la possibilità che essa possa essere sorta nella stessa area occupata in precedenza dal tempio di Astarte, forse riutilizzando, del tutto o in parte, l'edificio preesistente». La presenza nello spessore murario delle superstiti strutture della presunta chiesetta di imponenti conci in calcare ben lavorato - sottolinea Mulliri nella relazione della terza campagna di scavo nell'area della Sella del Diavolo - apparivano interpretabili «come possibili tracce delle preesistenti strutture murarie del tempio punico».
LE FASI La prima fase di lavoro degli archeologi è stata caratterizzata dalle operazioni di diserbo. «Successivamente l'area di scavo è stata delimitata da una recinzione metallica, che ha consentito una maggiore protezione delle evidenze archeologiche» e la possibilità di «garantire misure di sicurezza rispetto alla abituale frequentazione del colle da parte di numerosi escursionisti».
Lo scavo ha affrontato l'«asportazione di uno strato superficiale di terreno disomogeneo, di spessore medio di circa 40 centimetri, caratterizzato dalla presenza di reperti di varia natura e di varia epoca: materiali ceramici cronologicamente inquadrabili dall'età punica sino a fasi post-medievali, monete di età romana e medievale ed elementi di industria litica pertinenti alle fasi di frequentazione neolitica del Capo Sant'Elia».
LA PAVIMENTAZIONE L'asportazione dello strato ha messo subito in evidenza la prima importante scoperta. «Si tratta della presenza di una vasta area pavimentata in battuto di malta, conservata per una superficie estesa circa 30 metri per 6, che occupa l'area a nord-est delle strutture murarie della chiesetta».
L'area pavimentata appare «ancora ben conservata per una superficie abbastanza estesa». Le prospettive: «Il battuto pavimentale prosegue certamente al di sotto dell'area non ancora sottoposta ad indagine di scavo che si estende a nord dell'area sinora indagata, rendendo più che ipotetica la prospettiva di recuperare un ampio tratto di tale pavimentazione ancora in buone condizioni». Il pavimento appare ancora in connessione con un «tratto murario di cui residuano tre grandi blocchi disposti in continuità strutturale con la lunga canaletta che faceva confluire l'acqua all'interno della cosiddetta cisterna romana, già individuata dal canonico Spano». (p. p.)