Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Figli e figliastri della Lenci nei ninnoli retrò di ceramica

Fonte: L'Unione Sarda
19 maggio 2014


Esposizione Al Teatro civico di Castello a Cagliari a cura di Anna Maria Cabras 

 


U na bimba con cuffietta sarda siede su un dado bianco coi puntini neri, si vede il quattro e l'uno (qualcuno li giocherà pure) e lei, la bimba, è una pupattola dalla pelle rosata, il panno addosso, ma il volto non proprio da lattante, complice la cuffietta e le ciocche di capelli neri. Questa «desulesina giocata ai dadi», come la definisce Antonello Cuccu, che della storia della ceramica del Novecento è luminoso esperto, è il manifesto di una mostra al Teatro civico di Castello a Cagliari.
Non si tratta della parata di ceramiche Lenci, bellissime, che, esattamente due anni fa, avevano costituito l'ultima proposta di questo spazio, affidato dal Comune ad Anna Maria Cabras. Né si tratta delle sontuose bambole Lenci che si sono viste recentemente in mostra, dopo quasi due anni d'inspiegabile chiusura di quello spazio, bambole regine che dell'azienda torinese, fondata nel 1919 da Helen Köning ed Enrico Scavini, sono state una produzione d'eccellenza. Insomma, Ars Lenci, stavolta, non c'è. Ma c'è la sua emanazione, c'è il gusto, la linea poetica, l'armonia e la malia di questa azienda di manufatti vari, che dal 1928 si mette a produrre anche oggetti in ceramica, arrivando ad avere 600 dipendenti e a far gravitare intorno a sé i più importanti designer del tempo. “Eredità Lenci” è il titolo scelto dalla Cabras per presentare «epigoni e secessionisti» che a Lenci hanno ispirato i loro soggetti, proponendo un filone accattivante, destinato a un pubblico «bambino», come precisa Cuccu in catalogo, con la proposta di temi regionalisti, di facile appeal per regioni marginali che si trovavano rappresentate oltremare nei loro costumi. La Sardegna inizia ad essere citata attraverso cifre leziose e seducenti, tipo la cuffietta di Desulo, e la borghesia sarda ritrova in tanta produzione ceramica un correttivo alla propria marginalità sociale. Insomma, marchi torinesi come Ars Pulchra, Le Bertetti, Bigi, C.I.A., Igni, Essevì, Ronzan, e anche Alessandro Mola, col suo laboratorio aperto nel 1933 in via Manno, capiscono che produrre sardità fa stare sul mercato, grazie a quella «piccola e media borghesia, autoreferenziale e viziata, che portava dentro le proprie abitazioni maioliche di tal fatta, già allora ninnolerie retrò», nota Cuccu, nella sua lettura critica e psicanalitica al tempo stesso.
Queste «ninnolerie retrò» sono esposte adesso al Teatro civico in una parata forse ancor più gustosa della sobrietà dei manufatti Lenci, di due anni or sono. È tutto un fiorire di testine con cuffiette, dallo sguardo sempre basso, fiere portatrici d'acqua o di ceste di frutta, mamme dagli sguardi amorevoli, bambine e ragazzine, fra cui l'omaggio a Maria José di Savoia in vesti desulesi, paesaggetti con fichi d'india e asini e un gran svolazzare di grembiuli e gonne, in una nuova estetica così distante dalla tradizionale staticità sarda. Improbabile resa iconografica che ha fortuna, però, poiché la gente vi riconosce una propria identità, seppure patinata, edulcorata: «I sardi amarono questa nuova bugia, negata dalla realtà nella quale il resto del paese aveva diversamente considerato quei loro caratteri, identitari e popolareschi, esclusi da ben altri contesti», scrive Cuccu nel saggio in catalogo, dal titolo che è tutto un programma: «Dalla divoratrice divorata alla folkseduttrice domestica». Perché, fra i soggetti esposti in questa mostra, alcuni dei quali inediti, quindi assai attesi dai collezionisti, c'è anche una parte non propriamente afferente alla Sardegna ma che bene rappresenta il cotè erotico-esotico che informava la produzione ceramica degli anni Trenta.
E “Morte di Diana”, marchio Le Bertetti, Torino, con il leopardo che azzanna alla gola una discinta bionda stesa, diventa l'anti testina di Desulo, dallo sguardo remissivo e candido, marchio Essevì su modello di Mola. Contrasti tipologici per incontrare tutti i gusti: quelli di un pubblico regionale-insulare e quelli di pubblici avvezzi a certa estetica Decò. Mutati gli scenari, oggi è caccia a quelle nostrane «ninnolerie retrò», indice di una moderna consapevolezza del gusto che mescola locale e globale con informata disinvoltura.
Raffaella Venturi