Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Lingua Giovani professionisti crescono In tv o in Rete il futuro è qui E parla sardo

Fonte: L'Unione Sarda
16 aprile 2014

 

P arte da una notizia minima: «Su Sant'Ignazio de Setzu, una de sas biddas prus pitìas de Sardigna» ha vinto il campionato di serie D di calcetto. Poi punta più in alto: «Su Casteddu incumintzat a tènnere sa possibilidade de si bìere salvu». Non può mancare la Dinamo, con il suo «orgòlliu mannu» Diener: «Calicunu at nadu chi pariat unu videogiogu». Salvatore Cubeddu, 39 anni, sardo- svizzero, conduce “Videolina Isport”: ogni lunedì pomeriggio, sulla tv del gruppo L'Unione Sarda (con i contributi della Regione). «In sardo si può parlare di tutto. Facendo, semplicemente, giornalismo», osserva. Cubeddu è anche operatore linguistico (un decennio creativo allo Sportello della Provincia di Oristano) regista e produttore. Se fosse un vittimista, si definirebbe precario. Lui si sente un piccolo imprenditore della comunicazione. Parte di una schiera sempre più folta di giovani professionisti che usa il sardo per lavoro. Cubeddu parla la variante di Seneghe, ma scrive in Limba sarda comuna. Lo standard ortografico sperimentale introdotto nel 2006 per i documenti ufficiali della Regione. E portato nelle scuole, nei libri e nei media dall'azione martellante di Giuseppe Corongiu, direttore del Servìtziu limba e cultura sarda. Lo standard ha molti nemici. Ma non Cubeddu. Che è nato e cresciuto a Glarus, nella Svizzera tedesca. «Con i miei parlavo il sardo di Seneghe. In chiesa, da chierichetto, l'italiano. A scuola mi esprimevo in tedesco standard e per strada in svizzero-tedesco». Risultato: «Non confusione, ma apertura mentale». La lingua ufficiale si può fare. «Ma in maniera democratica. Senza guerre».
Alexandra Porcu, 35 anni, è cresciuta a Berlino. Era già grande quando ha riscoperto la lingua degli antenati. «Mamma era della Generazione Bregungia». Occhi di fuoco e lingua di falce, Alexandra si batte per la cultura sarda da Facebook, dal suo blog “Arrexinis e Arrexonus”, nel gruppo “Bilinguismu democraticu”. È laureata in Filologia (inglese, italiana e spagnola) all'Università di Potsdam; specializzazione in Sociolinguistica, sulla standardizzazione della lingua. Si è avvicinata al sardo grazie alla mailing list “Sa limba” aperta da un docente tedesco. «Ho imparato dapprima il logudorese, mischiato al mio sardo passivo». Presto diventa presidente del Circolo dei sardi di Berlino. Migranti di nuova generazione. Non più contadini disoccupati, ma intellettuali. «Portatori di nuovi interessi e nuove energie». Il Circolo promuove rassegne di cinema, workshop di scultura. «La vera lingua sarda comune si trova nei circoli di Stoccarda, Amburgo, Norimberga. Hanno creato una koiné. Ognuno parla il suo dialetto, e capisce e influenza gli altri». Alexandra Porcu (che traduce per Condaghes e altri editori) ha riscoperto le radici materne di Villaputzu e oggi si batte per il doppio standard: campidanese al sud, logudorese a nord. La sua componente tedesca invoca il rispetto delle regole. Alla lettera. «La Lsc doveva essere sperimentale. Così dice la delibera. È ora di verificare come è andata». E dire basta a quello che definisce «sardu porcheddinu», filologicamente scorretto.
«Una lingua non si può costruire a tavolino. Esperti in linguistica e grammatica vivono lontani dalle persone che parlano la lingua e ne sono i custodi»: Carolina Bacciu, 27 anni, è cresciuta a Colonia. «A casa parlavamo tedesco. In vacanza dai nonni, il sardo di Brunella». Carolina ha imparato l'italiano nelle scuole tedesche. Ma il sardo sarà la lingua della sua vita professionale. Grazie a Guido Mensching, docente tedesco di Filologia italiana alla Freie Universität di Berlino: «Mi ha fatto conoscere il prestigio di cui gode la nostra lingua». Carolina sostiene con gentile decisione la sua ostilità alla Lsc: «Si può normare l'ortografia, ma senza strappi. Non si può eliminare la X, c'è gente che si chiama Puxeddu da secoli». E ancora: «Anche dove gli standard esistono, come in Germania, non si norma il lessico dall'alto». Abba al posto di àcua è ferita aperta.
Invoca una tregua Roberto Mura, classe 1979. Giornalista, scrittore, autore di videogame. Parla il sardo di Sadali, suo paese natale, dove è tornato dopo una lunga permanenza a Cagliari, che include una laurea in Scienze politiche (tesi sul sardo nelle riviste identitarie) e un'esperienza da redattore per Làcanas, il periodico di Domus de Janas. Lì si è impratichito con la Lsc. «Uno standard serve: la Regione non può interfacciarsi con cento comuni in cento varietà diverse». La lingua dell'anima, però, è un'altra cosa: «Ognuno ha la sua. E tutti dovremmo imparare a leggere la nostra grande letteratura. In ogni varietà del sardo. È più facile di quel che pensiamo». In cassa integrazione, Mura è rientrato a Sadali, dove ha promosso un originale parco letterario, il Campo delle storie. Sta per concludere il restauro di una casetta che diventerà la Biblioteca del parco. Fondi (3 mila euro) raccolti via Internet. Racconta ai turisti le leggende e i crimini (veri) della Sadali che fu. In sardo. «Un valore aggiunto». A quelli che Alexandra Porcu definisce «barones de sa lingua», Roberto Mura raccomanda moderazione: uno standard accettabile, sottolinea, non esclude nessuno. «Il bagaglio delle micro varietà locali dovrebbe essere raccolto e protetto, documentato. E, se è il caso, inserito nel tesoro comune della lingua ufficiale». Perché, spiega, «un canale artificiale scorre nei suoi argini di cemento. E avrà una modesta portata». Ma «un grande fiume raccoglie tutti gli affluenti. E diventa inarrestabile».
Daniela Pinna